Di Redazione
Un segno del destino, forse, quello che lega la semifinale dei Mondiali femminili di quest’anno a quella di sedici anni fa. Il 13 settembre 2002 l’Italvolley femminile conquistò l’accesso alla finale del Mondiale di Germania battendo 3-1 la Cina. Fu il passaggio verso lo storico titolo iridato poi vinto al tie-break contro gli Stati Uniti a Berlino. Domani mattina, spostato tutto più a Oriente, per le azzurre si riproporrà lo stesso copione: semifinale Mondiale sempre contro le asiatiche. Allora a difendere dalla seconda linea gli attacchi cinesi c’era, nelle vesti di libero, Paola Cardullo. Col suo metro e 62 cm d’altezza ma l’elasticità nei movimenti di un felino, Paola sdoganò la pallavolo dal recinto di sport adatto solo alle pertiche da 1,75 insù. A 36 anni, con 289 presenze in azzurro e due titoli europei in bacheca, oltre a quello mondiale, l’ex Novara – che inizierà a breve una nuova sfida in serie A1 con Filottrano – è il trait d’union tra queste due nazionali così vincenti e così amate. TuttoSport, nell’edizione odierna, riporta la sua intervista.
Paola, se l’aspettava un’Italia così in alto in Giappone?
«Visti i risultati nella fase di preparazione, l’età media molto bassa e la poca esperienza a certi livelli di alcune giocatrici si tratta di una piacevole sorpresa. Siamo di fronte a una nuova generazione e all’apertura di un ciclo vincente che può durale parecchi anni».
Quali sono i punti forti di questa squadra?
«Le percentuali offensive di Paola Egonu sono impressionanti. Dalle sue mani passerà la vittoria con la Cina come successe a noi, nel 2002, con i 29 punti della Togut. Ma alla base del gioco azzurro c’è l’ottima catena muro/difesa, che permette al palleggio di impostare un gioco pulito».
Ci sono similitudini tra questa squadra e quella del 2002?
«Entrambe le squadre erano considerate outsider. Ci accomunano l’entusiasmo e la spavalderia. Lo si è visto nel modo in cui le azzurre hanno saputo gestire certi passaggi delicati del match col Giappone».
Il ko con la Serbia può aver smorzato certe sicurezze?
«No, perché era un match ininfluente e ci sta di staccare la spina. Giocare una partita senza pressioni può servire anche per ricaricarsi».
Nel 2002 battendo la Cina volammo in finale. Si può ripetere quell’impresa?
«Spero che questa coincidenza sia un segno benevolo del destino. Non conosco la Cina di oggi. L’abbiamo già sconfitta nella prima fase ma ora sarà tutta un’altra storia. Sono in crescendo e parliamo delle campionesse olimpiche. Nella pallavolo moderna è fondamentale la battuta. Quindi dovremo tirare forte e preciso per farle giocale staccate da rete. Le cinesi sono maniacali nel preparare le partite e ogni variabile che esce dal loro spartito tattico le può mettere in difficoltà».
Come ci si approccia a una semifinale mondiale?
«Nessuna paura o ansia. Le gare secche si vincono con la mente, restando serene. Poi serve la cura dei dettagli: devi conoscere tutto delle avversarie. La video analisi va curata attentamente. Fatto questo, si va in campo per spaccare il mondo».
Cose rivede di lei nel libero azzurro Monica De Gennaro?
«La pallavolo in 16 anni è cambiata. Oggi devi avere un bagaglio tecnico ancora più ampio. Ad esempio lei palleggia in salto, cosa che allora un libero non faceva. Attualmente, nel suo ruolo è la più forte in circolazione ed è molto continua nel rendimento».
Non pensa che il podio potrebbe essere già un successo per la “baby” Italia?
«Vietato accontentarsi. Questa squadra non ha limiti e se un bronzo vale tanto, un oro sarebbe qualcosa di straordinario. E’ così che si entra nella storia di uno sport».
Quanto fanno bene al volley italiano le imprese delle azzurre?
«Erano anni che mancava una nazionale così forte. E’ un moltiplicatore di entusiasmo. L’effetto sarà benefico sia per il reclutamento dei settori giovanili, sia per il livello del campionato».
E per la Cardullo l’azzurro è ancora un obiettivo?
«La risposta l’ha data il Mondiale. Largo alle giovani».
(Fonte: TuttoSport)