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Una volta ho conosciuto un coach Campione del Mondo

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Di Stefano Benzi

Anno 2000: anno splendido. Era nato Edoardo, vivevo in una splendida casa a due passi dal parco di Monza, ero ancora sposato e avevo accettato una sfida totalmente folle. Creare e dirigere un portale di pallavolo che si chiamava Televolley.com il cui obiettivo a lungo termine sarebbe stato quello di mostrare il volley in streaming. Pur amando molto la pallavolo non ero un insider: arrivavo da Genova dove il volley praticamente non esisteva e non avevo rapporti con nessuno…. Lega, Federazione, società… a me interessava solo quello che andava on line. In meno di otto mesi moltiplicammo per dodici quanto era stato preventivato in termini di pagine viste e per ventidue il numero di utenti unici. Era un sito bilingue, italiano e inglese. Ripensandoci era il miglior biglietto da visita possibile della pallavolo italiana nel mondo: eravamo letti ogni giorno da Brasile, Giappone, States, Germania, Olanda. Un lavoro mostruoso perché dovevamo rendere internazionali le notizie italiane ma soprattutto dovevamo fornire un contenuto estremamente trasversale intervistando qualsiasi giocatore straniero in Italia. Nella cartella che conservo ancora con tutti i file dei miei pezzi scritti in un anno circa di lavoro ci sono quasi 4200 articoli in italiano e in inglese… circa seimila foto e duecento video. Giravo su ogni campo con videocamera e macchina fotografica. Scrivere non bastava più: eravamo parecchi anni luce avanti al mercato.

Anzi… era fantascienza se pensate che si parla di diciotto anni fa e che le connessioni non erano certo quelle di oggi. La cosa bella di quel progetto – oltre a capire che potevo essere autonomo in tutto quello che facevo e che avevo solo bisogno della mia testa e di qualche apparecchiatura professionale – fu che conobbi tante persone straordinarie, dei veri talenti che in effetti oggi hanno fatto una carriera più brillante della mia. Lasciai Televolley per andare a Eurosport dove restai sedici anni e purtroppo quel progetto di lì a poco abortì: forse i tempi non erano maturi per un disegno così ambizioso. Tuttavia in quei mesi riuscii a divertirmi moltissimo: conobbi una gran quantità di giocatori e allenatori compreso il mio mito, Kim Ho Chul e quello che sarebbe diventato un amico, Lloy Ball. Tutti parlavano di Treviso, della Milano dei Miracoli di Montali, di Cuneo e ovviamente di Modena. Tuttavia io ero incuriosito da un’altra squadra, Padova.

Era una formazione costruita con poco: il palleggiatore era il polacco Zagumny, la stella era l’ungherese Meszaros con Nowak sempre e perennemente in campo ma la grande sorpresa fu un allenatore molto giovane e mite, umile che arrivava da Fano, profeta in patria, e da una panchina di A2. Una domenica mi trovavo a Treviso: all’epoca, ero ancora bravo e famoso, commentavo per Tele+ che ogni fine settimana mi spediva su un campo per qualche commento calcistico. Prendevo la mia macchina e macinavo chilometri: quando andava bene fino a Brescia o Bergamo e quando andava meno bene fino a Perugia, Empoli, Firenze, Treviso. A volte aereo per Cosenza o Cagliari. Quella volta andai a Treviso a vedere Treviso-Ancona 0-0, la mia agenda dice che era il 10 dicembre e che la partita fu orrenda. Ricordo solo che faceva un freddo terrificante e quando mi staccai dalle cuffie io, con il mio vizio di vestirmi sempre leggero, ero congelato. Andai nello spogliatoio e i simpatici dirigenti del Treviso capirono il dramma: “Bevi…!” Imparai il concetto di ‘ombra’ fino a quel momento sconosciuto.

Dopo tre o quattro ‘ombre’ uscii dal “Tenni” sorridente come un ebete e in polo a maniche corte arrivai alla macchina. La Sisley giocava fuori ma pensai che ci potesse essere qualche partita di pallavolo nei dintorni e mi venne in mente che giocava Padova, proprio di strada. In tre quarti d’ora senza nemmeno accendere il riscaldamento arrivai fuori dalla Fiera di Padova dove la Sempre giocava contro la Domino Palermo. Entrambe navigavano in acque cattive: la partita è bella, tanti errori ma anche tanta intensità: e mi diverto parecchio. Finale infuocato, giocatori tesi, nervi tesissimi. Terzo, quarto, quinto set e vittoria al tie-break di Padova in una sfida davvero spettacolare tra due squadre che lottavano per evitare la retrocessione. In panchina Lorenzetti è in jeans, camicia e golf blu con il collo a “V”: pochi cenni, parole a basso tono, molti sorrisi, atteggiamento disteso e costruttivo anche quando Padova si fa rimontare sia nel terzo che nel quarto set dopo aver vinto i primi due. A fine gara mi avvicino, con il permesso dell’addetto stampa mi presento e chiedo a Lorenzetti di poter fare due chiacchiere davanti alla telecamera: “Vengo subito – mi dice – devo passare prima negli spogliatoi dai ragazzi…”.

Intitolai quell’intervista, che ho ancora dentro il mio NAS a casa, “Il tecnico dei nervi distesi”: dissi a Lorenzetti che eravamo coetanei e che tutto sommato fare il mestiere che si sogna quando si è già così giovani non è male… “Vedrai che farai più carriera tu – mi disse – decidere di fare il tecnico è sicuramente una scelta radicale che ti cambia la vita ma bastano due anni storti e si rischia. Vedremo, questa in A1 è sicuramente una grande esperienza”. Sbagliava, ha ovviamente fatto più carriera lui.

Poi gli chiesi come facesse a mantenersi così calmo in mezzo a tanti eccessi isterici: “Qualcuno deve pur farlo, ogni tanto perdo la pazienza anche io e cerco di calmarmi e lavoro sugli aspetti positivi perché quando hai meno di un minuto per dare qualche suggerimento non puoi perderti in rimproveri, servono pochi messaggi e chiari”.

Dove si vede Lorenzetti tra vent’anni? “Sicuramente su un campo, da qualche parte, spero a fare qualcosa di buono con un progetto interessante. Ma chi può dirlo…?  Al momento sono qui e sono contento”.

Mi fece un’impressione meravigliosa Lorenzetti e ogni volta che ho modo di vederlo ho piacere anche solo di salutarlo: non credo ricordi quell’intervista registrata il 10 dicembre 2000. Io sì. Lorenzetti fece un mezzo miracolo salvando Padova e partì subito per le grandi avventure firmando per Modena.

Da allora ha vinto molto e diciotto anni, nemmeno venti, dopo quelle chiacchiere eccolo qui, campione del mondo. Non è da qualche parte su un campo qualsiasi ma in cima alla piramide e senza nulla togliere ai giocatori, per me, è il vero MVP di questa impresa straordinaria.

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