Final six: lunedì le azzurre in campo contro il Giappone

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Di Redazione

Inizia la fase calda del Mondiale.

La nazionale italiana femminile nella terza fase del Mondiale (a sei squadre) è  stata inserite nella pool G con Serbia e Giappone.

L’altro raggruppamento (Pool H) è composto da Olanda, Stati Uniti e Cina.

La terza fase si disputerà a Nagoya dal 14 al 16 ottobre.

Le ragazze di Mazzanti scenderanno in campo lunedì 15 ottobre contro il Giappone (ore 12.20 italiane) e martedì 16 ottobre contro la Serbia (ore 9.10).

Gironi Terza Fase    
Pool G: Italia, Serbia, Giappone.
Pool H: Olanda, Stati Uniti, Cina.

Calendario Terza Fase
14 ottobre: Cina -Stati Uniti (ore 9.10), Giappone-Serbia (ore 12.20).
15 ottobre: Olanda-Stati Uniti (ore 9.10), Italia-Giappone (ore 12.20).
16 ottobre: Italia-Serbia (ore 9.10), Olanda-Cina (ore 12.20).

Risultati e Classifiche 2a Fase

Pool E – Nagoya    

Classifica: Olanda 8V 24pGiappone 7V 22pSerbia 7V 21p, Brasile 7V 20p, Rep.Dominicana 5V 16p, Germania 5V 14p, Porto Rico 3V 9p, Messico 1V 3p.

Risultati – 11 ottobre: Portorico-Messico 3-1 (25-17, 25-19, 18-25, 25-19), Rep.Dominicana-Germania 3-0 (12-25, 19-25, 17-25), Serbia-Olanda 0-3 (16-25, 12-25, 20-25), Brasile-Giappone 3-2 (23-25, 16-25, 28-26, 25-21, 15-11).

Pool F – Osaka       

Classifica: Italia 9V 27pCina 8V 24pStati Uniti 7V 19p, Russia 6V 18p, Turchia 5V 15p, Bulgaria 3V 11p, Thailandia 3V 11p, Azerbaigian 2V 6p.

Risultati – 11 ottobre: Bulgaria-Azerbaigian 3-0 (25-19, 25-20, 25-20), Turchia-Thailandia 3-1 (22-25, 25-20, 25-22, 25-20), Italia-Stati Uniti 3-1 (25-16, 25-23, 20-25, 25-16), Cina-Russia 3-1 (25-22, 21-25, 25-23, 25-15).

(Fonte: comunicato stampa)

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Quando Velasco nell’89 diceva: “La maglia azzurra deve essere una scelta, non un obbligo”

Nazionale Femminile

Eravate già nati nel 1989? E se sì, quanti anni avevate? In tanti, probabilmente, troppo pochi per ricordare la storia che stiamo per raccontarvi, della quale anche su internet di tracce se ne trovano pochine, fatta eccezione per qualche articolo di firme autorevoli come uno scritto da Giovanni Manenti nel 2019. Protagonista è (anche) Fabio Vullo, forse, il più forte palleggiatore che abbia vestito la maglia azzurra, eppure la sua storia con la Nazionale non è sempre stata rose e fiori. Tutt’altro.

Classe 1964, nel 1982 Vullo fa il suo esordio da diciottenne nel massimo campionato italiano vestendo la maglia di Torino. Quella squadra era allenata da Silvano Prandi, all’epoca anche allenatore della Nazionale, che l’estate dopo non ebbe dubbi nel convocarlo in azzurro, nonostante fosse ancora poco più che un ragazzo. Per farla breve, negli anni che seguirono, dopo una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles 1984, la prima a cinque cerchi per la pallavolo italiana, per motivi (e con allenatori) diversi, quella del palleggiatore nativo di Massa con la maglia azzurra non fu una storia di successi, bensì di numerose delusioni e una sfilza di piazzamenti lontani dal podio. Un nono posto, quello del 1987 ai Campionati Europei, fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso. 

L’estate dopo, nel maggio del 1988, anno dei Giochi Olimpici di Seul, dopo l’ennesimo cambio in panchina (con Pittera chiamato a sostituire il polacco Skiba), Vullo, che con i club aveva già conquistato 3 scudetti (uno a Torino e due consecutivi a Modena sotto la guida di Julio Velasco), si presentò nel ritiro azzurro solo per comunicare la sua decisione di rifiutare la convocazione.

All’epoca il fatto suscitò grande clamore, anche perché per questo Vullo venne squalificato per due mesi dalla Federazione. Una regola, con la sua sanzione, che qualcuno chiese e ottenne di modificare successivamente.

Quel qualcuno era proprio Julio Velasco, nominato ct della Nazionale maschile nella stagione seguente, al posto di Pittera, che da qui in avanti diventa il secondo protagonista di questa storia. Una storia che, curiosamente, si collega a distanza di quasi quarant'anni a quanto accaduto nell’ultima settimana, dove a tenere banco è stata la querelle che si è generata in seguito alle sue dichiarazioni sugli ormai famigerati quattro “no” alla convocazione in Nazionale incassati da Chirichella, Pietrini, Bonifacio e Lubian

Di questa vicenda si è raccontato e detto ormai (quasi) tutto: dalle prime affermazioni del ct alle risposte via social delle giocatrici e ancora Velasco che, dopo il secondo test match dell’Italia contro la Germania, ha voluto tagliare corto affermando di “essere stato più che chiaro”.

Eppure… “Se un giocatore rifiuta la Nazionale non è un problema, resta una questione tra noi due, perché indossare la maglia azzurra deve essere una scelta, non un obbligo” erano state, invece, le parole con cui Velasco, nel 1989, aveva commentato la squalifica di Vullo. Se ne trova ancora traccia su qualche pubblicazione. 

Una posizione che potrebbe apparire lontanissima da quel “Un no alla nazionale è sempre un no” espresso da Velasco solo pochi giorni fa. Ovviamente, strumentalizzare queste affermazioni sarebbe un esercizio inutile, sciocco e fin troppo “facilotto”, e non è certo questo il nostro intento. Ci piace, invece, raccontare una curiosa storia del passato che si lega al presente, ben consapevoli che ogni “caso” fa storia a sé e anche che cambiare opinione non sarebbe comunque un reato, considerando pure come dal 1989 a oggi qualunque cosa sia diventata diversa: il mondo, la tecnologia, gli strumenti, la società, anche gli uomini e le donne, e, “ca va sans dire”, la pallavolo stessa, con le sue dinamiche pubbliche e private.

Lo stesso Velasco poi, negli anni, ha sempre sottolineato come “Solo gli stupidi non cambiano mai idea”, oppure, “Lasciamo ai nostri ragazzi il diritto di sbagliare” e ancora, per dirlo con un'altra frase, “Restare immutato non è un valore, è solo paura di perdere la propria identità. Io mi lascio cambiare. Posso dire che si vince attaccando veloce e dopo una settimana attaccando alto. Rivendico la libertà di contraddirmi.

Quindi, nessun caso o, per riprendere una citazione, nessuna “contraddizione” che non si possa spiegare con quarant'anni di “altro” in mezzo e con situazioni semplicemente molto differenti.

Vogliamo credere che quelle parole dette allora, “La maglia azzurra deve essere una scelta e non un obbligo”, Velasco (fresco ieri della Laurea Honoris Causa in Psicologia) le pensi ancora, soprattutto conoscendo anche quanto la sua stessa storia sia legata a un forte concetto di motivazione. E che in questo caso, delle quattro giocatrici, abbia voluto soprattutto appellarsi a un vizio di forma, a un modo di argomentare il rifiuto alla Nazionale che deve essere in linea con i valori e l'immagine della maglia azzurra, e non può risolversi in un generico “mi serve un'estate”, se mai ci fosse davvero stato.

Allo stesso modo siamo convinti che anche le quattro atlete non siano state sicuramente così “frettolose” nello spiegare le loro ragioni personali - espresse, poi, anche pubblicamente e in maniera importante per quanto riguarda il loro rapporto con la Nazionale attraverso dichiarazioni e interviste: qui le parole di Bonifacio, Chirichella, Lubian e Pietrini - e che, magari, tutto questo si sarebbe potuto risolvere, o addirittura evitare, senza una sorta di “processo” in piazza che, di certo, non ha fatto felice nessuno.  

Ad ogni modo, come disse Caio Tito al Senato Romano, “verba volant, scripta manent”. E per scriverla con un sorriso, quella affermazione di Velasco dell’89, messa nero su bianco sui giornali dell'epoca, a leggerla oggi non può che fare un certo effetto!

Quanto a Fabio Vullo, per chiudere con una nota di cronaca, fece il suo rientro in Nazionale nell'aprile del 1992, prima di concludere la sua carriera con la maglia dell'Italia nella World League dello stesso anno dopo 139 presenze in azzurro. 

Di Giuliano Bindoni
(@ Riproduzione riservata)