Di Stefano Benzi
Le interviste sono così… a volte le cose più interessanti sono esattamente dove vai a fare le tue domande, altre invece ti sorprendono quando meno te l’aspetti. E così, quando parli con un personaggio che ha visto parecchio mondo e tantissima pallavolo come Alessandro Lodi, rimani sorpreso davanti alla sua descrizione di Tokyo… “Non è una città confusa, disordinata o problematica, anzi… – spiega con una capacità descrittiva e narrativa non comune – nonostante i suoi dieci milioni di abitanti e la fittissima densità, la gente fa la sua vita con estremo equilibrio e un grande senso civico. Se chiedi ti rispondono sempre, se ti rendi utile in qualche modo sono estremamente gentili ed educati, molto formali. È un fiume di persone tranquillo che si sposta, lavora, vive e si diverte. Sempre con estrema educazione e buon senso”.
Wow… Tokyo è proprio così. E che ci fa uno come Alessandro a Tokyo? L’allenatore di pallavolo, lo scorso anno era il secondo e quest’anno è stato promosso a head coach del FC Tokyo laddove FC sta per football club. Spiegarlo non è facile ma la squadra di pallavolo nasce proprio da una costola della squadra di calcio del Tokyo e dalla volontà di un’azienda ricchissima, la Tokyo Gas: “In Giappone quasi tutte le squadre sono proprietà di grandi aziende e ognuna investe nella propria realtà sportiva con ambizioni diverse – spiega Alessandro – la Tokyo Gas è un colosso, se volesse potrebbe tesserare Leon almeno due volte. Ma non lo fa: vuole promuovere il gioco, valorizzare i giovani e portarne quanti più possibile in prima squadra anche a costo di perdere qualche punto”.
Il Tokyo attende di vincere qualche trofeo che almeno per ora manca in bacheca. Ma la cosa non crea alcuno stress, nemmeno se il Suntory (proprietà della compagnia che commercializza il famosissimo whisky) quest’anno porterà in Giappone niente meno che Muserskiy: “Quello dell’FC Tokyo è un progetto coerente sulla base di un budget che non è infinito e non è nemmeno ricchissimo ma è funzionale a creare una squadra di buon livello che non sfiguri. Se per vincere la proprietà del club dovesse spendere una fortuna la cosa non funzionerebbe…” Eppure oggi in Italia siamo tempestati dalle cifre che riguardano Cristiano Ronaldo quasi che vogliano farti pensare che per vincere è normale investire un fiume di denaro.
Alessandro Lodi con il Giappone ha fissato la residenza in otto paesi. Svizzera, Italia, Polonia, USA, Svezia, Germania e Finlandia… ma il Sol Levante è un’altra cosa: “Anche se l’incarico di quest’anno mi vede head coach le cose non cambieranno molto, lavorerò con gli stessi ritmi e nella maniera. Il mio quotidiano sarà lo stesso. I giocatori della nostra squadra di fatto sono dipendenti della Tokyo Gas, possono essere considerati professionisti sul campo, ma lavorano fino alle tre del pomeriggio in ufficio e poi arrivano in palestra per quattro ore di allenamento. La lingua è un problema: in Giappone pochissimi parlano inglese. Ci si deve arrangiare. C’è un senso del dovere e della lealtà enorme: qualsiasi atleta farebbe un esercizio solo perché glielo dico io, perché io sono l’allenatore e me lo devono. Ma io sto cercando di portare un’altra mentalità meno assertiva: spiego tutto, qualsiasi cosa, voglio che ogni giocatore sappia esattamente cosa si sta facendo e perché”.
Giocatori in gran parte giovani: “Gli atleti arrivano alla VLeague dopo l’università, intorno ai 22 anni. Quando arrivano in un club difficilmente lo lasciano fino alla fine della loro attività agonistica che in Giappone è piuttosto bassa, intorno ai 26 anni sei un veterano mentre a 29 cominciano a chiederti quando smetti. L’attività prevede un impegno massiccio, di quattro/cinque ore al giorno per 350 giorni all’anno. Per alcuni c’è anche la nazionale, per altri c’è il lavoro in azienda che spesso diventa determinante per garantirsi un futuro quando la carriera agonistica sarà finita”.
Per un giocatore italiano quella in Giappone è un’esperienza da fare? “Parlando da allenatore posso dire che è un’esperienza molto interessante sia sotto il profilo tecnico che umano ma se devo pensare a un giocatore italiano qui… mi pongo mille dubbi. Venire qui per completare l’Università e giocare sembra affascinante ma è poco praticabile: per la lingua, la distanza e il rischio di non avere un futuro come atleta. Il campionato è molto protettivo e riduce al minimo le presenze straniere… Se non sei un super fuoriclasse non vieni a giocare in Giappone da straniero”.
Ringraziando Alessandro penso a “Lost in translation”, lo splendido film ambientato a Tokyo con Bill Murray e Scarlett Johansson . “Tempo di relax, tempo di Suntory” diceva Murray impegnato a girare uno spot del whisky giapponese che da quarantacinque anni sovvenziona a milioni di yen il volley ad Osaka con i Sunbirds. Che dire… è un modello completamente diverso dal nostro che sa come produrre spettacolo senza bruciarlo. E nel frattempo costruisce impianti, palestre, università, palasport e attività che hanno come cappello un campionato che da quest’anno sarà di dieci squadre appena. Ma solide, ognuna delle quali ha il suo obiettivo che non è necessariamente vincere.
Il tutto mentre il fiume di persone che si sposta, vive, lavora e si diverte prosegue il suo immobile moto.