Di Paolo Frascarolo
Non è uno qualsiasi. Il palmares di Marcello Abbondanza parla per lui: a livello nazionale e internazionale, il coach nativo di Cesena ha sempre lasciato il segno. Lo ha fatto anche quest’anno, a modo suo: dopo la prematura conclusione del rapporto con la Pomì Casalmaggiore, si è reso infatti protagonista di un grande finale di stagione alla guida delle campionesse di Polonia in carica del Chemik Police, portate alla vittoria del settimo campionato della loro storia. Ma l’uomo dei record è lui: Abbondanza ha raggiunto in questa stagione la nona finale scudetto consecutiva, una serie che si è aperta nel 2010 in Italia e che è continuata nelle esperienze dell’attuale coach della nazionale canadese in Azerbaijan, Turchia e, ora, Polonia.
Un’annata particolare, conclusa in bellezza: com’è stata l’esperienza polacca?
“E’ stata incredibile. Mi sono trovato bene sin dal primo giorno in cui ho messo piede in palestra, sia con l’ambiente che con le ragazze. Le condizioni lavorative sono davvero di altissimo livello, le migliori che io abbia mai trovato: parlo di strutture, disponibilità, qualità dei materiali. Questo per quanto riguarda l’aspetto tecnico, a livello umano invece ho trovato un gruppo molto giù, ma che aveva grande voglia di rivalsa: grazie alla disponibilità e all’attenzione delle ragazze abbiamo fatto un ottimo lavoro. La squadra ha giocato con 3/4 elementi nuovi rispetto a prima, soprattutto a causa degli infortuni: con un eccellente salto di qualità finale siamo riusciti a centrare l’obiettivo più importante”.
Il Chemik Police l’ha ingaggiata con l’obiettivo dichiarato di portare a casa il campionato. Sentiva molta pressione?
“Onestamente pochissimo. Per me non esiste la pressione: tutte le società vogliono vincere, e così è stato anche nelle mie ultime esperienze al Fenerbahce, al Rabita Baku e a Villa Cortese. Il lavoro dell’allenatore è vincere: a volte ci riesci, a volte no. A volte hai la squadra per farlo, a volte no. A volte sbagli, a volte no. Fa parte del gioco. Il Chemik mi aveva offerto un anno e mezzo di contratto, ma io ho firmato solo fino alla fine dell’anno, perchè volevo capire prima cosa si poteva fare. La pressione, forse anche per carattere, io non la sento. Anzi, se non ce n’è abbastanza, ne metto io di più”.
Si può dire che in Polonia, rispetto all’Italia, ci sia più pazienza e si lascino lavorare al meglio gli allenatori?
“Rispetto all’Italia attuale sicuramente sì. Negli ultimi anni il nostro paese è cambiato molto: prima di Casalmaggiore, infatti, non mi affacciavo ad una realtà pallavolistica italiana da 6 anni. Secondo me si è perso qualcosa a livello di rispetto verso l’allenatore e i giocatori: tutte le squadre vogliono vincere subito, ma c’è bisogno di programmazione. L’ultima squadra in Italia che ha fatto davvero una programmazione con me fu Pesaro, poi pian piano sempre peggio. Adesso è come se fosse il far west…”.
Piazza, Gardini, Guidetti. All’estero esiste sempre più richiesta di una conduzione tecnica italiana. Come mai?
“In questo momento secondo me stiamo sfruttando l’onda degli anni ’90 e prima, quando la pallavolo italiana è cresciuta grazie a figure professionali di riferimento come Velasco e Skiba, più tanti allenatori di livello internazionale che sono venuti a creare una scuola in Italia, un movimento e una filosofia di pensiero, e sono emersi anche nuovi allenatori giovani come Bonitta e Barbolini. Infine siamo arrivati noi. Si è costruita un’identità, un’idea e una professionalità che, purtroppo, in altri paesi non si è sviluppata. La categoria degli allenatori italiani ha fatto un grande salto di qualità: all’estero questa cosa è vista e apprezzata, in Italia no!”.
Aveva dichiarato di essersi pentito di essere tornato in Italia. C’è adesso in lei un senso di rivincita?
“La realtà è che sono pentito di avere lasciato una realtà come il Fenerbahce, per andare dove sono capitato (Casalmaggiore, ndr). Non sono pentito però di essere tornato in Italia: il campionato italiano mi manca sempre, però ho trovato scarsa umanità e disponibilità. La rivincita tuttavia non mi appartiene: non ho mai sentito di dover provare niente a Casalmaggiore. L’anno scorso ho vinto Scudetto e Coppa nel campionato di livello più alto al mondo, ovvero la Turchia. Ho vinto a ottobre il NORCECA con il Canada. A Casalmaggiore mi hanno fatto fare 20 allenamenti con la squadra… sinceramente non credo di dover dimostrare qualcosa a loro”.
A mente fredda, cosa non ha funzionato a Casalmaggiore?
“E’ molto semplice. Il doppio incarico è stato solo un alibi tirato fuori dalla società: lo sapevano benissimo anche prima, io avevo firmato a gennaio per il Canada. Sono arrivato in un contesto che non mi ha fatto sentire parte di qualcosa, non mi è stata data la possibilità di lavorare come sono abituato a fare: non ci sono stati spazi, tempi, orari e filosofia. La società ha voluto avere il controllo su tutte le situazioni, dal mercato al resto, e alla fine ha pagato per le scelte che ha fatto. Non credo che il mio allontanamento abbia portato dei risultati. Io ho giocato senza tre pedine fondamentali: soprattutto Lo Bianco, ma non ho avuto neanche Martinez e Guiggi ha saltato due partite. Faccio fatica a parlare di pallavolo quando si parla di Casalmaggiore, perché si deve parlare di una società che prima spende parole di un progetto triennale, e poi dopo 20/22 allenamenti decide di fare una scelta del genere”.
Subito dopo l’esonero aveva dichiarato che Casalmaggiore sarebbe arrivata a fine anno tra le prime 4. Si è meravigliato poi di vederla addirittura fuori dai playoff?
“Decisamente sì. La squadra aveva il potenziale per giocare tranquillamente una semifinale Scudetto. In più, a gennaio hanno investito ancora sul mercato. Io non ho certo la pretesa di essere l’allenatore migliore del mondo, però negli ultimi anni la storia parla chiaro: Mazzanti dopo un anno va via, Barbolini dopo un anno va via, Caprara dopo un anno va via, Abbondanza dopo un mese va via. Prima o poi gli allenatori finiscono e qualche altro problema, magari, c’è…”.
Parliamo di Campionato italiano: che stagione le è sembrata?
“Il Campionato ha fatto un grande scalino verso l’alto. Conegliano è stata sfortunata negli infortuni: la squadra costruita, per me, era la più forte d’Europa. All’inizio hanno pagato una situazione psicologica, e Novara teneva bene. Dopo gara 2 di finale Scudetto, però, in casa di Novara si è rotto qualcosa, e Conegliano ha trovato delle sicurezze: sono cresciuti palleggiatore e opposto, e hanno fatto il definitivo salto di qualità”.
Che Mondiale sarà per il Canada? E cosa ne pensa del nuovo corso Mazzanti-Italia?
“Il Mondiale per il Canada sarà molto complicato, perchè abbiamo un girone di ferro. Il Canada è una nazionale di seconda, terza fascia, che punta molto sulle giovani. Sarà un’avventura, e cercheremo di presentarci nel miglior modo possibile: il nostro sogno sarebbe di passare il girone. Sarà emozionante giocare contro l’Italia, il mio paese, e la Turchia, la mia nuova casa. Per quanto riguarda l’Italia, penso che possa essere la mina vagante del Mondiale, forse anche da medaglia. Purtroppo paga due infortuni pesanti come Bosetti e Folie, che sono giocatori non facilmente sostituibili, anche se il bacino italiano è enorme. Faccio un in bocca al lupo all’Italia, e penso che il nuovo corso di Davide Mazzanti sia bello, con tante giovani: adesso può fare bene, ma i veri risultati si potranno raccogliere tra 2 anni, dall’Olimpiade in poi”.
I rumors di mercato si fanno sentire: per lei si prospetta una conferma in Polonia, oppure un interessante progetto in Turchia?
“In questo momento non ho deciso nulla. Mi piacerebbe continuare in Polonia, perchè mi sono trovato molto bene con tutti, e mi piacerebbe giocare la Champions League. La Turchia, però, ormai inizia a essere anche una scelta famigliare, avendo casa e mio figlio lì: il livello del campionato turco è sempre altissimo. Se ci sarà qualche offerta concreta, potrei davvero prendere in considerazione l’idea della Turchia. Mi auguro che il mio futuro possa essere deciso entro fine maggio, o anche prima”.
Tornerebbe mai in Italia?
“Il mio problema non è stato tornare in Italia, è stato scegliere le persone sbagliate”.
Quindi?
“Tornerei senza dubbio. Dipende solo da quali sarebbero le prospettive e gli obiettivi del club”.
Marcello Abbondanza ha qualche rimpianto in carriera? E un sogno nel cassetto?
“Un rammarico, più che un rimpianto, è non aver portato uno Scudetto a Villa Cortese. L’ambiente e la passione di Flavio Radice mi hanno cambiato e mi hanno dato tanto. Lo Scudetto che avremmo potuto vincere è stato quello del primo anno (2009-2010, Ndr): arrivammo alla finale contro Pesaro in una condizione superiore, ma l’infortunio di Tai Aguero fu decisivo. Il sogno sarebbe di vincere uno Scudetto in Italia: in questi anni ho avuto la fortuna di vincere in 5 nazioni diverse, ma lo Scudetto a casa mi farebbe chiudere un ciclo”.