Di Roberto Zucca
Dirigendo un film, è cosa banale affermare che la regia sia tutto. Nel volley l’affermazione è similare e pare ripetersi. Nella rappresentazione cinematografica della Coppa Italia, che andrà in onda nel weekend del 27 e 28 gennaio, i registi chiamati alla conquista del torneo sono tra i più forti del mondo. Sono diversi, complessi, complicati. Ma caratterizzati da un unico aggettivo: sono talentuosi. E sono pronti a darsi battaglia con un approccio alla gara e con una storia diversa, che proviamo a racchiudere in una scheda di presentazione utile alla comprensione del loro innegabile merito di essere arrivati fino a questo punto.
LUCIANO DE CECCO: la passione. Il sangue argentino scorre nelle vene di colui che detiene il titolo del primo trofeo della stagione ovvero la Supercoppa. È il suo anno. E lo dimostra conquistando anche la vetta del campionato che mantiene saldamente dall’inizio della stagione. Lo scorso anno guardò il trofeo da casa, perché Perugia perse ai quarti di finale contro Piacenza in una gara che gli brucia ancora. Quest’anno sia lui che il presidente Sirci tengono molto al trofeo e la gara contro Trento della semifinale appare alla loro portata. Perugia non gioca una finale dal 2013. Sarà l’anno giusto caro Lucio?
Punto di forza: la sua rabbia agonistica. Vuole tutto senza condividerlo con nessuno. Il suo gioco bellissimo alterna momenti di testa e cuore in cui Podrascanin e Russell rappresentano i destinatari della sua corrispondenza al palleggio a momenti di pancia e irrazionalità dove la devastazione è espressa dalla forza e della potenza di Zaytsev e Atanasjevic. Il giusto mix è la chiave del successo di Perugia che quest’anno, potenziata in ogni comparto ha in De Cecco il pater familias designato a condurre la Sir verso le leadership.
Punto di debolezza: la lucidità. Non sua, ma dei suoi attaccanti. Per questo è chiamato ad averne più degli altri. E spesso non è possibile perché è chiamato ad interpretare i momenti no dei suoi. Per questo Luciano dovrà tenere la plancia di comando orientata all’obiettivo e andare a colpirlo. La forza dell’impatto per uno come lui non rappresenta un problema.
SIMONE GIANNELLI: il razionale. Una storia recente narra di una stagione altalenante, forse di una lenta discesa verso l’assestamento. Nasce come uno dei più grandi talenti del vivaio azzurro e corre inarrestabile verso l’incendiare, più che bruciare, le tappe. Lo scorso anno sfiora la Coppa Italia, così come l’anno precedente, dopo aver disputato una bellissima semifinale vinta contro Modena, e dopo aver disputato una gara bellissima, ma al nono set in due giorni cede il passo all’inarrestabile Civitanova. Chiude la Coppa dello scorso anno con 13 punti personali e una grande prova di carattere. Quest’anno ha già detto che il titolo non vuole perderlo in finale. Di fronte a lui Perugia avrà una gara tostissima da giocare nella seconda semifinale.
Punto di forza: la sua visione. È meticoloso, lucido, spavaldo quanto basta. Il suo approccio alla gara è sempre più mentale che fisico. Sulla palla da posto due sta facendo grandi cose, anche con Teppan, il numero due rispetto al suo compagno di azzurro Vettori.
Punto di debolezza: il suo schematismo. Se ripetuto con alcuni avversari potrebbe portare all’oblio. Deve sforzarsi e giocare con meno paura di essere perfetto. La sbavatura e l’ingenuità ogni tanto potrebbe giocargli dei tiri a proprio favore.
BRUNO MOSSA DE REZENDE: il creativo. Nell’ultima Coppa Italia era assente giustificato, già in contatto (si dice) con la presidente Pedrini per riprendere il volo che dal Brasile lo riportò in Italia lo scorso autunno. Per lui questa non sembra essere la stagione dei record di due anni fa quando vinse agilmente una finale di Coppa contro Trento, dove brillò a tal punto che le stelle sembravano meno luminose di lui. La partita contro una Civitanova in grande forma, sarà la tappa obbligatoria per misurarsi con qualcosa che apparentemente appare terreno di difficile conquista. Ma lui ama stupirci. Sempre.
Punto di forza: il suo estro. Nessuno pare averne più di lui, memore di una bandiera carioca che ha tatuata sul cuore e che è sinonimo di imprevedibilità ed irrazionalità. Il più bel gioco lo esprime con il suo fratello francese, Earvin Ngapeth, con cui in campo ha un’intesa tale che i francesi vorrebbero giocasse con la casacca della stessa nazionalità. Piace anche il gioco con Urnaut che potrebbe essere l’arma per rovesciare un risultato in semifinale già complesso da aggiudicarsi.
Punto di debolezza: Civitanova. La soffre, forse perché dall’altra parte c’è un altro diamante raro come Christenson. E soffre il marchingegno perfetto che l’americano ha creato con Sokolov, Juantorena e Sander. Deve bendare il suo cuore e lasciar giocare solo le sue mani. Allora sì che il risultato potrebbe essere a suo favore.
MICAH CHRISTENSON: il diplomatico showman. È la via di mezzo a tutto. Difficile non attribuirgli creatività, visione, estro, passione. Ha qualcosa che la classe non spiega abbastanza e che il talento non riesce a racchiudere. È un ibrido vincente. Si presenta da campione in carico dopo aver giocato due partite perfette nella scorsa Coppa Italia e dopo aver illuminato il palcoscenico assieme a Sokolov e Juantorena con cui lo scorso anno ha vinto tutto, concludendo il trofeo con 10 punti personali e una media di performance di 7,3. Impressionante. Esordisce contro Modena, che quest’anno ha già sconfitto in campionato. È l’uomo da abbattere più che da battere se le altre compagini vogliono sperare di aggiudicarsi il trofeo.
Punto di forza: la sua convinzione. Non lo fa vedere, ma conosce il suo valore. Spietato nelle retrovie, serve molto bene e architetta qualsiasi cosa pur di mettere a segno il punto. Se dovesse trovare Juantorena ispirato come lo scorso anno difficilmente ci sarebbe qualcosa da utilizzare come antidoto. Se non sperare in una giornata no. Ma non per lui. Che non pare conoscere il senso negativo delle cose.
Punto di debolezza: non individuabile. Non per altro è lui il palleggiatore detentore del titolo.