Di Stefano Benzi
Ormai non può più essere considerata una sorpresa: l’Iran ha ottenuto troppi risultati importanti, e a tutti i livelli, sia con la Nazionale maggiore che con le formazioni juniores per poter essere considerata “una novità”.
C’è chi sostiene, anche in Iran, che la qualità del lavoro che sta pagando in questi ultimi anni è figlio della pianificazione di Julio Velasco e che il seme del tecnico argentino stia ripagando ora la federazione islamica di tutti gli sforzi compiuti. Ma non c’è dubbio, e nel conto va messa anche la strepitosa vittoria della recente Universiade che si è conclusa a Taipei nientemeno che sul Brasile, che anche sotto la guida di Igor Kolakovic la squadra ha fatto ulteriori passi avanti. Intanto, il tecnico montenegrino ha inserito tantissimi giovani in pochi mesi di lavoro e l’età media dell’Iran, già tendente al giovane si è ulteriormente abbassata. Il tutto in un sistema organizzativo di gioco che ha il suo pregio-difetto nella sua sistematica chiusura.
Da una parte è innegabile che per Kolakovic sia stato più facile organizzare meeting e campus tra venticinque giocatori in gran parte concentrati intorno alla capitale Teheran e con un solo “professionista” impegnato all’estero: Ebadipour, che militava in Qatar all’Al Rayyan e che da quest’anno sarà in Polonia al Belchtatow. A lui da poco si è aggiunta alla schiera degli stranieri Mohammed Manavinezhad che ha firmato per Verona.
Quanto potrebbe crescere ancora l’Iran con giocatori più maturi, consapevoli ed esperti con i sistemi di gioco europei? È una domanda che si fa lo stesso Kolakovic, che per un evidente questione di ruolo non può certo dire che vorrebbe vedere i suoi giocatori sotto contratto fuori dall’Iran, prova a rispondere: “Non ci siamo accontentati dopo le vittorie contro Usa e Italia e non dobbiamo accontentarci adesso, il limite è il cielo. Di fronte a una squadra che dimostra questa volontà e questa dedizione non ho nulla da rimarcare o rimpiangere: il bronzo della Grand Champions Cup alle spalle di un Brasile che è l’unica squadra che ci ha battuto e di un’Italia che abbiamo comunque sconfitto, per noi vale un enormità. Abbiamo avuto un’infinità di problemi ai quali abbiamo risposto con ostinazione e caparbietà. Peccato per gli infortuni… Ma questa prima medaglia intercontinentale per l’Iran è una gioia nazionale che vale per noi e per tutto il paese che ama la pallavolo. Possiamo solo sperare che i nostri giovani crescano sull’onda di questo successo portando sempre più ragazzi a giocare nelle palestre”.
Al momento il massimo campionato iraniano, la SuperLeague, conta 14 squadre e una dozzina di giocatori stranieri: in Italia qualcuno conosce (forse…) il Paykan Teheran perché è la squadra che ha vinto di più e perché da quelle parti hanno giocato anche Biribanti e Vermiglio. Ma la verità è che con gli investimenti di un paese profondamente fondamentalista, ma anche molto ricco, il volley potrebbe crescere ancora e in pochissimo tempo: al momento gli iscritti al movimento sarebbero circa 700mila, ma sono dati ufficiosi registrati per sentito dire. Non ci sono fonti ufficiali nemmeno da parte della federazione. Si sa solo che quello che producono da anni a questa parte è eccellente, e ora comincia anche a fare risultato.