Di Stefano Benzi
Ho iniziato a occuparmi di pallavolo a livello professionale e quasi esclusivo molti anni fa quando Alessandro Fei era molto giovane ma era già una stella di prima grandezza. Esordio nel 1995, lo incontrai e intervistai più volte dal 2000 in poi quando vinse più volte il titolo italiano con la Sisley Treviso fin dalla sua prima stagione in Veneto. Fei ha rappresentato per molti anni una linea di continuità con la generazione di fenomeni che aveva vinto tantissimo, e che non siamo più riusciti a ricreare con così tanta ricchezza di materiale tecnico e umano.
Vederlo oggi apprestarsi a una nuova stagione da protagonista a Piacenza, ma in silenzio, umiltà e al servizio di una squadra che a tratti gli chiederà forse anche di farsi da parte, mi fa pensare a quanto sia difficile il ricambio generazionale.
Pensiamoci: lo è a tutti i livelli. Viviamo in un mondo gretto che da sempre per prima cosa mette in competizione i padri con i figli: non all’interno delle famiglie ma dei luoghi di lavoro. I figli pensano che stiano pagando le pensioni di chi non ha più voglia di lavorare, i padri pensano che i giovani vogliano portare loro via il posto. Il lupo giovane sfida il lupo anziano e fino a quando non lo estromette dal branco continua ad attaccarlo. È una logica che può andare bene per gli animali ma non per l’uomo: perché il mondo cambia e il giovane avrà sempre bisogno dell’esperienza e della capacità di uno come Alessandro Fei di trasferire la sua conoscenza e la sua passione forse anche più di quella di un allenatore.
Sentire Fei dire che prenderà lo stesso armadietto occupato fino a qualche settimana fa da Hristo Zlatanov mi ha fatto tenerezza: me li ricordo giovanissimi battagliare per il titolo uno a Treviso e l’altro a Milano. Passa il tempo, certo che passa. Passa anche per Fei, magari più lentamente di quanto non sia passato per me: lui continua a fare lo stesso lavoro, mugugna e combatte contro il mal di schiena, le infiammazioni e le tossine degli allenamenti. Io per salire al primo piano dell’ufficio prendo l’ascensore.
Fei che dice che non vuole la fascia da capitano di Piacenza perché Marshall la merita di più, Fei che si mette a disposizione dell’allenatore, Fei che sbuffa durante le partite amichevoli e che ogni volta che glielo chiedono cambia ruolo. Da centrale, schiacciatore o da opposto… in fondo, che differenza fa? Si tratta semplicemente di mettere a terra lo stesso pallone. Lo ha fatto 9186 volte, forse non arriverà a diecimila perché si chiama Fei, soprannominato “Fox” e non è Ironman. Ma in fin dei conti un uomo come lui, ben lontano dal voler sembrare a tutti i costi un monumento, sempre disponibile e sorridente con tutti, rappresenta una grande qualità del genere umano e del mondo del lavoro in senso più lato: il mondo cambia, cresce, si evolve, i giovani chiedono spazio. Alle persone di esperienza si chiede di dar loro una mano e di aiutarli.
Difficile da chiedere, difficilissimo da ottenere. Ma se c’è una persona che ha la qualità per rappresentare il testimone di questo cambiamento, questa persona – questo atleta – è Alessandro Fei: l’highlander, l’ultimo degli immortali.