Di Redazione
Raccontarsi come sportivi per aiutare chi sta affrontando il cancro: questo è in sintesi il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo con diploma d’alta formazione in psico-oncologia, e patrocinato da Arenbì Onlus. Gli atleti rispondono a domande mirate per raccontare momenti particolari della propria carriera e offrire spunti di ispirazione e reazione per chi si trova a vivere la quotidianità affrontando un tumore.
Di questa speciale “squadra” facevano già parte grandi campioni del passato come Leo Lo Bianco, Jack Sintini e Paola Croce, atleti ancora in attività come Cristian Casoli, Simona Gioli, Laura Saccomani e Francesca Parlangeli e allenatori come Marco Bonitta e Fabio Soli. Oggi aderisce al progetto anche Federica Stufi, centrale della epiù Pomì Casalmaggiore: pubblichiamo parte della sua testimonianza, raccolta a febbraio prima dell’emergenza coronavirus. L’intervista completa è disponibile a questo link.
Federica, con Atleti al tuo fianco la tua storia ed esperienza nella pallavolo diventa strumento per approfondire la vita delle persone che combattono contro il cancro. Iniziamo cercando di esplorare il tuo percorso personale: raccontaci cosa ritieni sia necessario sapere per poter dire di conoscerti meglio.
“Parto dallo sport, perché per me la pallavolo è sempre stata un cardine fin da piccola: mia sorella maggiore giocava e così ho iniziato molto presto. Attraverso il volley ho appreso le regole di convivenza, a prendere per mano le mie paure, ho imparato a fidarmi, a conoscere i limiti e le qualità di ogni singola persona. Lo sport ti porta a fare i conti con l’errore, che esiste e deve essere accettato; attraverso l’analisi dello stesso infatti si può arrivare al miglioramento, e così è anche nella vita fuori dal campo. A 22 anni ho rischiato di smettere di giocare, perché continuavo a dimagrire senza che se ne capisse il motivo. Mi hanno fatto molte diagnosi ma non arrivavano ad una soluzione, finché hanno scoperto che ero celiaca: una scoperta che è stata la mia salvezza, perché mi ha aperto una strada da percorrere per continuare a giocare. Mi hanno aiutato in tanti, compagne e allenatori, e ancora oggi scendo in campo per fare quel che più mi piace. Non riesco a scindere lo sport dalla vita, proprio perché tante volte quel che succede in campo è una scuola e una metafora delle difficoltà e delle soddisfazioni che possiamo vivere nella nostra esistenza“.
La chiave per opporsi alle cannonate di un tumore non è tanto la forza, ma la compattezza. Come un muro a pallavolo, alle bordate non si oppongono schiacciate, ma un piano di rimbalzo compatto, a volte di coppia o di gruppo, a volte anche “a uno”. Raccontaci da pallavolista in che modo si ottiene efficacia nel muro attraverso la compattezza del reparto e dei singoli.
“Quando si parla di muro si pensa subito alle braccia, invece una buona fase di muro parte dagli occhi: sono loro a darti immediatamente la possibilità di concentrarti sulla palla. Prima ancora delle braccia poi sono chiamati ad entrare in azione i piedi, che si devono muovere in maniera rapida e coordinata nella direzione del pallone. Poi contrai il tuo corpo e gli addominali per cercare di andare ad opporti alla palla in una condizione di equilibrio in volo, mantenendolo il più a lungo possibile. Gli occhi continuano ad essere attivi guardando l’avversario mentre attraverso la respirazione fai fluire l’energia nel tuo corpo. Tutto questo è fondamentale tanto quanto quelle braccia che, da sole o unite a più giocatrici, formano ciò che viene chiamato muro, ma se ne vede solo il dettaglio finale: è importante preparare bene il percorso per arrivare ad un’efficacia di insieme. Senza dimenticare poi il resto della squadra, che deve essere ben schierata e pronta a difendere l’eventuale contenimento dell’attacco avversario. È bene distinguere forza e potenza, non sono sinonimi: la forza di una squadra spesso sta nella preparazione dei dettagli di ogni singolo per contrapporsi di insieme alla potenza con cui il tuo avversario cerca di raggiungere i suoi obiettivi”.
Ci sono giorni in cui le persone che affrontano un tumore, ma anche i familiari, si sentono totalmente inadeguate rispetto alla battaglia che sono chiamate ad affrontare, come se le proprie qualità fossero insufficienti di fronte ai limiti che il cancro mette facilmente in luce. Tu da pallavolista, come vivi il rapporto tra i tuoi limiti e i tuoi punti di forza?
“Negli ultimi anni la pallavolo sta evolvendo, è diventata più spettacolare e più fisica. Io svolgo il ruolo di centrale, non sono né particolarmente robusta né estremamente alta, ma al tempo stesso ho accumulato molta esperienza sul campo, soprattutto nella gestione di me stessa nei momenti difficili della squadra e decisivi della partita. Tutto questo mi ha fatto capire che quando c’è bisogno di me, non è necessario che io offra tutto quello di cui c’è bisogno, ma solo ciò che io so di poter offrire al meglio. Per questo io mi rifugio nella tecnica, perché credo sia l’arma che mi abbia fatto fare tanti anni in serie A1 e sia il prodotto migliore da poter offrire alle mie compagne. Se ogni mia compagna fa lo stesso, avremo un risultato di squadra di livello elevato per la somma delle qualità, andando a sopperire l’insieme dei limiti“.
(fonte: Comunicato stampa)