Di Eugenio Peralta
“Se per caso cadesse il mondo, io mi sposto un po’ più in là” cantava un’ottimista Raffaella Carrà. Ora che il mondo è crollato davvero, e la pandemia di coronavirus ha rivoluzionato le nostre vite, l’interrogativo diventa cosa fare nel malaugurato caso di una “ricaduta”, cioè della temuta seconda ondata di contagi da Covid-19. Nel caso dello sport, questo significa tra le altre cose studiare nuove tipologie di contratti per atleti e staff, che prevedano anche la possibilità di un ulteriore stop dell’attività e di una relativa decurtazione dei compensi. Un modo, insomma, per formalizzare quanto già avvenuto al termine della scorsa stagione.
Se il calcio e il basket hanno già affrontato il problema con un dibattito pubblico, nella pallavolo, come spesso accade, si è proceduto sottotraccia, ma il tema è comunque di stretta attualità. Alcuni soggetti, come la Lega Pallavolo Serie A Femminile, stanno cercando una soluzione condivisa: proprio in questi giorni si stanno svolgendo i colloqui con Massimo Della Rosa, avvocato specializzato nei risvolti legali della pallavolo (nonché allenatore di Serie A), che rappresenta in questa sede l’associazione dei procuratori. Nel frattempo, però, la gran parte degli accordi è stata già conclusa e i relativi contratti già firmati.
Da un punto di vista legale le “clausole Covid” sono formalmente corrette, dal momento che si appoggiano a principi largamente condivisi, anche se in ambito giuridico esiste un dibattito in merito (qui un articolo di approfondimento della rivista Salvis Juribus). E in effetti sono pochi, a differenza di altri sport, i casi di giocatori che abbiano rifiutato un contratto proprio per la presenza della clausola in questione. Il problema, però, è l’applicazione pratica all’infinita varietà di casi possibili: stagione interrotta (e, se sì, a che punto) o neppure iniziata? Sospensione temporanea o cancellazione definitiva? Lockdown totale o possibilità di allenamento? E così via di seguito.
“L’orientamento prevalente nei contratti firmati finora – spiega il procuratore Paolo Buongiorno – è quello di rinegoziare la situazione caso per caso, a meno che la stagione non parta neppure, ma a quel punto saremmo nel caos totale. Trovare una soluzione condivisa non è facile: le società vorrebbero valutare il compenso in base al numero di partite giocate, noi preferiremmo che si prendesse in considerazione il periodo di tempo in cui i giocatori sono rimasti a disposizione, e in questo senso l’unica data certa è la conclusione della regular season“.
Anche perché, continua Buongiorno, l’impegno richiesto ai giocatori varia da squadra a squadra: “Non si può proporre una decurtazione identica per chi ha già concluso la stagione e chi deve ancora giocare i play off. È lo stesso problema che si è verificato lo scorso anno, e anche lì si è faticato moltissimo a raggiungere un accordo“. E poi esistono molti casi particolari: ad esempio, come fa notare lo stesso avvocato Della Rosa, quello di giocatori che vengano ingaggiati a metà stagione o soltanto per i play off.
“Ogni società ha seguito il suo modus operandi – dice Francesca “Chicca” Livi dell’agenzia Gold Sport – alcune non hanno inserito nei contratti nessuna clausola, altre si sono rifatte alle eventuali indicazioni future della Lega, altre ancora hanno stipulato autonomamente clausole in cui vengono riconosciuti i compensi solo fino al momento in cui entra in vigore il lockdown. In Polonia si è trovato un accordo a mio avviso più giusto: nel caso in cui l’attività venisse interrotta, la parte rimanente della stagione verrebbe retribuita al 50%, in modo che siano entrambe le parti ad assumersi il rischio“.
Si è aperto dunque un nuovo fronte di trattativa nei rapporti già molto delicati tra società, atleti e collaboratori: nei prossimi giorni potrebbe già esserci qualche novità, naturalmente nella speranza che lo scenario prospettato non si verifichi mai e l’intero dibattito si riveli inutile…