Di Stefano Benzi
È un momento molto complicato, difficile, problematico. C’è un senso di insicurezza di fondo che colpisce tutti, in particolare i nostri ragazzi che non sono più padroni della loro spensieratezza, di vivere a pieno la loro età senza preoccupazioni, inibizioni, paure. Non è bello vederli consultare regole e protocolli per capire se devono recarsi a scuola, o ad allenarsi. O rinunciare a vedere gli amici perché “si ha paura”.
C’è chi si rivolge alla narrativa andando a cercare testi che parlano di una situazione molto simile a quella che stiamo vivendo (“L’ombra dello scorpione” di Stephen King o “La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe): ma nessuna fiction, purtroppo, traduce l’ansia della realtà di questi giorni. I film che trattano questo argomento sono stati intelligentemente tolti da qualsiasi palinsesto. Quanto alla musica… be’, la musica salva. In questo periodo di insicurezza, di poco contatto fisico ed empatia sempre più diffidente ecco tre brani che potrebbero allenare la nostra mente. E liberarci dalla nostra ansia e dalle gabbie mentali.
- 1. UN GRIDO DI SALVEZZA
“Dive into me” è una canzone meravigliosa scritta dal leader e fondatore dei Big Country, Stuart Adamson, straordinario musicista e compositore scozzese tragicamente scomparso nel 2001. Un uomo di una sensibilità incredibile, un vero artista, terribilmente sottovalutato nonostante abbia composto decine di autentici capolavori. Un uomo perennemente in lotta con i suoi fantasmi e le sue paure: ma capace di urlare “Stay alive!” alla fine di ogni show. Era il suo messaggio di sopravvivenza, qualcosa da donare agli altri. E che gli sopravvive da venti anni.
Un uomo si trova davanti al fiume “con un chiodo piantato nel cuore” e chiede consiglio: che cosa mi salverà? Che cosa potrà rigenerarmi? “Tuffati dentro di me, segui il tuo cuore nelle acque più fredde e profonde”. La vita non è una scampagnata ma una gara di resistenza: “A volte le acque vorticose ti trascinano giù, sapere nuotare non significa che non annegherai mai. Arriva la tempesta e cerchi di non trasmettere paura a chi ti sta accanto, a volte ti tocca galleggiare, portato alla deriva dalla marea”. Una splendida canzone sulla resilienza e la capacità di andare al di là delle proprie paure: anche quando queste non ti fanno quasi respirare…
Quello nel video è il loro ultimo concerto al Barrowland, il locale di Glasgow dove i Big Country, scozzesi di Dunfermline, erano di casa. Era il 31 maggio del 2000. Stuart Adamson è al centro del palco, voce e chitarra solista. Still missed…
2. LIBERARSI DALLA SCHIAVITÙ
“Redemption Song” ha una storia molto curiosa. Bob Marley la scrisse come ultimo brano del dodicesimo album che registrò con gli Wailers, “Uprsing”. É una delle poche canzoni non reggae di Marley e nasce da un testo che non è nemmeno suo. Marley aveva letto il discorso di Marcus Garey che nel 1939 arringava la gente di colore all’autodeterminazione e alla libertà. E lui partì dai primi versi più incisivi di quel discorso: “liberatevi dalla schiavitù mentale, perché nessuno se non noi stessi potrà darci la libertà di pensiero”. Un messaggio fortissimo.
La biografia del cantante, confermata dalla moglie Rita, racconta che Marley scrisse questo brano nel 1979 pochi giorni dopo avere saputo di avere il cancro. È per questo che chiede aiuto alla gente, per cantare un’ennesima canzone: “Dobbiamo ancora finire il libro… mi aiutereste a cantare questa canzone? Un brano di libertà perché tutto quello che so cantare sono canzoni di redenzione”. Sapeva che il suo messaggio avrebbero dovuto cantarlo altri: perché presto lui avrebbe smesso di cantare.
Marley la scrisse per “confessare le sue paure – dice Rita Marley – perché sono una zavorra insopportabile, soprattutto per un artista”. Il vero significato di questo brano è arrivato al grande pubblico molto anni dopo. Perché Bob Marley scomparve poco dopo e perché le sue canzoni più note sono sempre state quelle che portavano il reggae in scena. Ci sono volute decine di cover per rendere “Redemption Song” uno straordinario messaggio di libertà. L’hanno suonata Paul McCartney, i Muse, i Rolling Stone, gli UB40, ma soprattutto Joe Strummer, leader e fondatore dei Clash in quella che forse è la versione più amata di questo brano.
Qui abbiamo scelta una versione non molto nota di questa canzone, semplice e molto trasversale. La cantano Eddie Vedder dei Pearl Jam e Beyonce al Festival Global Citizens del 2015.
3. IL MOMENTO DI CORRERE
“Born to run“, il brano forse migliore dell’immensa produzione di Bruce Springsteen risale ormai al 1975 e nasce da una esigenza impellente del Boss. Springsteen si era appena mollato con la storica fidanzata, Dianne Lozito, e tre membri storici della E-Street Band lo avevano abbandonato con l’album in piena gestazione. Il disco non era finito: Springsteen voleva un album doppio che rappresentasse la sua immagine dell’America, della libertà, della strada e del rock and roll. Un manifesto programmatico di quella che sarebbe stato il successo di uno dei più grandi musicisti contemporanei.
Springsteen pensa alla sorella maggiore (anche la canzone “The River” è dedicata a lei) che decide di sposare l’uomo che ama e del quale è incinta senza un dollaro in tasca. “Siamo due sbandati, ma siamo nati per correre”: la frase Springsteen la chiosa per una canzone provvisoria che poi diventa il capolavoro del Boss… due innamorati si lasciano tutto alle spalle e vanno verso il futuro, insieme, sfrontati, senza paura e senza ripensamenti. “Certe sensazioni le vivi solo con l’incoscienza di chi è giovane e non pensa al futuro, ma solo all’odierno” dice Springsteen spiegando il suo brano capolavoro.
Una iniezione di adrenalina in pieno petto che oggi, a 45 anni di distanza continua a essere travolgente e spazza qualsiasi paura. Liberatoria, catartica, questa canzone dovrebbe essere inserita come salvavita e protetta come patrimonio dell’umanità.
La versione live è quella dello splendido set indoor di Barcellona, con la E-Street Band migliore di sempre: con il compianto Clarence Clemons e con Danny Federici che sarebbero scomparsi qualche anno dopo. Era il 16 ottobre 2002. Da ascoltare a volume ragionevolmente alto.