Di Alessandro Garotta
“Buona la prima!” esclama un regista sul set quando tutto va secondo i piani al primo colpo. Quando attori, principali e comparse, non sbagliano nulla e alla prima occasione girano una scena perfetta, almeno secondo i canoni del regista. Ma anche senza l’occhio scenico e la poltrona da director si può essere più obiettivi, badando meno all’estetica e più alla quantità. Quella che, alla fine, vale più di ogni altra cosa nel volley. Perché l’occhio vuole la sua parte ma le statistiche rimangono incise, e in una stagione pesano più dello stupore per una super schiacciata.
Lo sa bene Khalia Lanier, una delle rivelazioni della stagione 2020-2021 che – partita dopo partita – è diventata sempre più un punto di riferimento per la Zanetti Bergamo. La 22enne schiacciatrice statunitense ha parlato del suo percorso pallavolistico, della prima stagione oltreoceano e della sua battaglia contro il razzismo in esclusiva ai microfoni di Volley NEWS.
Khalia, com’è nata la sua passione per la pallavolo? È stato qualcosa di naturale, nonostante che suo papà (Bob Lanier) sia una leggenda del basket NBA?
“In realtà, ho iniziato proprio con la pallacanestro: la mia passione per lo sport, e in particolare quelli di squadra, è nata ancora prima dell’incontro con la pallavolo. Ad un certo punto, però, ho voluto smettere con il basket, perché non volevo essere sotto i riflettori per quello che è stato a livello sportivo mio padre. Volevo trovare la mia strada, trovare il mio sport. E così (a 13 anni, n.d.r.), vedendo giocare al liceo mia sorella maggiore Kahori, ho deciso di provare il volley. Lo trovavo competitivo, dinamico, e a differenza del basket non c’era contatto fisico: penso che tutti questi fattori abbiano contribuito a far sbocciare la mia passione“.
Aveva qualche idolo o modello di riferimento?
“È una domanda difficile perché non sono cresciuta seguendo la pallavolo: negli Stati Uniti non c’è grande copertura mediatica per quanto riguarda gli eventi del volley femminile. Tuttavia, ricordo ancora il primo incontro con una giocatrice proveniente dal college e quanto fosse significativo per me parlare con lei o prendere spunto dal suo modo di porsi. Si chiama Ashley Kastl e, proprio come me, era cresciuta nell’Arizona Storm. Un altro mio idolo è stata Stacy Sykora, una persona davvero straordinaria: sentire la sua storia e poter scambiare qualche parola con lei è stato davvero utile nel corso della mia carriera. Infine, ma non meno importanti, i miei genitori, che sono la mia benedizione più grande. Ammiro profondamente mia madre perché è la mia sostenitrice numero uno e si è sacrificata davvero tanto per farmi giocare e allenare, e mio padre perché rappresenta un esempio di come si possa avere un grande impatto dentro e fuori dal campo“.
Ha sempre pensato di raggiungere un certo livello nella pallavolo? Se lo aspettava?
“Non mi sarei mai aspettata di affermarmi così. Sono stata estremamente fortunata ad avere una famiglia, degli allenatori, insegnanti e compagne di squadra che mi hanno sempre sostenuta nel mio percorso“.
Quanto è stata importante la sua esperienza con le USC Trojans in NCAA?
“Penso che questa esperienza mi abbia fatto crescere e trasformato nella persona che sono oggi, tanto che non sarei mai la giocatrice attuale senza tutte le lezioni che ho imparato a livello personale. Il college è certamente un passaggio importante nella vita di chiunque, ma l’esperienza da student-athlete ha così tanti alti e bassi che in un modo o nell’altro ti aiuta nella crescita mentale e caratteriale“.
Com’è stato trasferirsi dagli USA all’Italia?
“Il passaggio alla pallavolo professionistica in Italia è stata un’esperienza incredibile. Come in tutte le cose, l’inizio può essere travolgente: mi è capitato di versare qualche lacrima perché mi mancavano la mia famiglia, gli amici e la vita americana. Ma penso che quando si vive a fondo una nuova avventura e ci si rende conto di essere circondati da una cultura, cucina, tradizioni così sorprendenti, sia davvero difficile non essere felici. E giocando a Bergamo, ho incontrato persone fantastiche che mi hanno fatto sentire come a casa“.
Come riassumerebbe la sua prima stagione da professionista con la Zanetti Bergamo?
“È stata una stagione sull’ottovolante, una corsa incredibile! Quando si è più giovani, si lavora tanto per raggiungere l’obiettivo di diventare professionista e si sentono le esperienze delle altre giocatrici. Poi, quando arriva il proprio turno, si sperimentano tutte quelle situazioni di cui si è sentito parlare. Giocare contro nuove giocatrici e imparare così tanto dalle mie compagne di squadra mi ha permesso di crescere come atleta, mentre le chiacchierate fuori dal campo con le persone che ho conosciuto mi hanno aiutato a crescere come persona. Queste esperienze ti fanno venire voglia di tornare e provarle di nuovo“.
È soddisfatta delle sue prestazioni quest’anno? Dove pensa di dover migliorare?
“Essendo molto critica con me stessa, non posso dirmi completamente soddisfatta delle mie performance; però, sono davvero orgogliosa per non essermi mai arresa e aver continuato a migliorare. Credo che ci siano ancora margini di crescita in tutti gli aspetti del mio gioco, soprattutto a muro e in ricezione“.
Quali sono i suoi sogni e obiettivi per la carriera sportiva?
“Il mio sogno più grande è di giocare alle Olimpiadi per gli Stati Uniti. Trovo molto importante anche vedere come sarò stata in grado di influenzare i giovani attraverso lo sport, e cercare di trasmettere nel modo più trasparente possibile cosa significa essere un’atleta professionista, condividendo aneddoti sulle mie ‘battaglie’ e i miei successi“.
Quasi un anno fa ha esplicitato via Instagram il suo sostegno al movimento Black Lives Matter: “More than just a post – Sustain the momentum“. Come si è avvicinata per la prima volta al movimento? E in che modo l’ha ispirata ad agire?
“Il movimento Black Lives Matter è stato sicuramente importante per me nel corso di tutta la mia vita. L’omicidio di George Floyd nel 2020 ha reso il mondo più consapevole di quanto fosse dura la situazione delle persone nere in America, ma personalmente mi ha reso soprattutto più consapevole di quanto dovessi esercitare un ruolo attivo in quello che stava succedendo. Che si trattasse di informarsi più in profondità sulle difficoltà delle persone di colore, di imparare come avrei potuto avere un impatto diretto su queste difficoltà o di come hanno influenzato il mio subconscio, ho sentito che la mia responsabilità era perlomeno quella di educare me stessa su ciò che stava accadendo nel mondo e come stava condizionando le persone che hanno il mio stesso aspetto. Nel complesso è stata una forte emozione vedere come il mondo abbia reagito alla situazione e, più nello specifico, come le persone che tenevano a me e alla mia famiglia abbiano preso l’iniziativa di imparare a essere persone migliori nei tempi che stiamo vivendo“.
Cosa può fare lo sport per aiutare a superare le disuguaglianze razziali?
“Penso che lo sport sia un eccezionale strumento per rendere più aperte le prospettive: può aiutarti a vivere una quantità incredibile di esperienze, avendo a che fare con persone che in circostanze normali non avresti mai incontrato. Così sei costretto a imparare come creare relazioni con persone diverse e culture diverse. È questo che rende lo sport così speciale: la fusione di persone e culture che crescono con te, allo stesso tempo. Infine, penso che la posizione particolare degli atleti dia loro la possibilità di esprimersi e influenzare coloro che li seguono per il bene della società“.