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Interviste video? Solo a pagamento: le strane media relations della pallavolo europea

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Di Redazione

La scorsa domenica Volley NEWS è stata presente con un proprio inviato alle Super Finals di Champions League a Lubiana: e questa, al di là del dispiacere nazionale per il risultato finale delle squadre italiane, è stata per noi una buona notizia, dopo che appena lo scorso anno eravamo stati costretti a rinunciare alla presenza alle finali di Verona a causa della presunta e molto discussa “non apertura” della procedura di accredito stampa per lo stesso evento. I più attenti si saranno però accorti anche di un altro particolare: rispetto alla nostra abituale copertura degli eventi dal vivo, sono mancate completamente le interviste video ai protagonisti.

Non si tratta, ovviamente, di un caso o di un errore. Il fatto è che, come sottolineato anche da altre testate, la CEV e Infront Sports & Media (l’agenzia specializzata che gestisce i diritti media delle competizioni europee) hanno adottato per questa competizione una politica inedita e singolare nei confronti dei giornalisti accreditati, richiedendo il pagamento di una tariffa per la realizzazione di contributi video nel corso delle finali, comprese le interviste in zona mista. Per l’esattezza la “fee” richiesta era di 300 euro, anche se pare che ad alcuni colleghi sia stato proposto uno “sconto”.

Al di là del costo, alto o basso che si possa considerare, Volley NEWS ha scelto di non accettare l’offerta, per così dire, e non certo a causa dell’entità della cifra richiesta (che, peraltro, può risultare per un verso eccessiva, se parametrata all’entità dei contenuti realizzati, e per un altro irrisoria, se l’obiettivo è davvero quello di valorizzare il prodotto).

Il tema è il principio che sta alla base della strategia adottata dagli organizzatori: l’idea che una testata giornalistica debba pagare per svolgere il proprio lavoro e documentare un evento nel miglior modo possibile, offrendo anche un servizio – nel nostro caso, gratuito – non soltanto ai propri lettori e ascoltatori, ma anche, in termini di visibilità e promozione, agli organizzatori stessi e, in ultima analisi, alla disciplina che ne è protagonista.

Tutto questo in un’epoca in cui tutto il settore giornalistico sta attraversando purtroppo una storica crisi e, nello specifico, i media che si occupano di pallavolo sono sempre di meno e quelli più “affezionati” che seguono gli eventi anche in presenza si contano ormai sulle dita di una mano. Non sembra proprio un’ottima idea, quindi, allontanarli ulteriormente introducendo limitazioni penalizzanti – che il più delle volte restano poi sulla carta, vista l’impossibilità di farle rispettare – e rendendo ancor più onerosa la loro partecipazione. Anche perché si tratta soltanto dell’ultima puntata di una serie di decisioni prese negli ultimi anni dalle istituzioni pallavolistiche internazionali, mirate apparentemente a escludere i media più che a coinvolgerli negli eventi.

Chiaramente nessuno, si intende, punta a usurpare i legittimi diritti di chi paga: già oggi i giornalisti di carta stampata e web attendono pazientemente che i colleghi della televisione abbiano terminato il loro lavoro prima di riuscire a intervistare quei pochi, generosi atleti e allenatori che ancora si concedono ai microfoni. Davvero quei video di poche decine di secondi realizzati nel dopopartita, in un mondo in cui chiunque possieda uno smartphone può creare e pubblicare contenuti, danno così fastidio? O non rappresentano piuttosto, grazie alla diffusione online in tempo praticamente reale e alla condivisione degli utenti, un prezioso veicolo di visibilità e di promozione per quegli stessi enti che li vorrebbero vietare?

Speriamo che l’ardua sentenza sulle nuove “frontiere” del giornalismo non debba attendere i posteri…

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