Il volley “ruba” talenti al basket? Petrucci: “Noi siamo un’altra cosa”

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Di Redazione

Basket e volley a confronto: un presunto dualismo che si perpetua da sempre, o almeno da quando le due discipline sono diventate sport di massa anche nel nostro paese. Soprattutto a partire dagli anni Novanta, quando l’Italia ha iniziato a essere riconosciuta come una potenza a livello mondiale nella pallavolo (e un po’ meno nella palla a spicchi, certamente anche per ragioni di concorrenza), si è sviluppato un conflitto più o meno latente tra i due sport per contendersi risorse economiche, attenzione del pubblico e dei media e bacino d’utenza. In particolare, l’accusa reciproca che ciclicamente torna a galla è quella di sottrarsi a vicenda giovani talenti, dato che gli aspiranti cestisti e pallavolisti condividono caratteristiche comuni soprattutto dal punto di vista fisico.

Il riferimento, ovviamente, è al solo settore maschile, dal momento che il basket femminile in Italia è una disciplina ancora minoritaria, mentre al contrario il volley è predominante tra le donne. A guardare i numeri, per la verità, le preoccupazioni non sembrano avere ragion d’essere: nell’ultimo decennio la pallacanestro in Italia ha sempre mantenuto più o meno lo stesso numero di tesserati (intorno ai 300mila) senza registrare particolari cali, al netto degli anni del Covid. C’è stato effettivamente il sorpasso da parte della pallavolo, che da qualche anno si attesta sui 320mila tesserati; ma bisogna considerare, come si diceva, che più del 75% di questi vengono dal settore femminile. È vero però che qui si tratta anche di una questione di qualità, oltre che di quantità: perdere anche un solo talento in favore dello sport “rivale” può essere una tragedia sportiva, se si tratta del nuovo Michieletto o Fontecchio.

Gianni Petrucci a colloquio con Giuseppe Manfredi/Foto Federazione Italiana Pallavolo

Il tema, del resto, continua a essere molto dibattuto. L’ultimo a sollevarlo è stato l’allenatore di basket Marco Trinchieri, attuale coach del Bayern Monaco, che qualche settimana fa in un’intervista a La Stampa ha dichiarato: “Il problema è che tantissimi ragazzi vanno alla pallavolo. Dovremmo ritornare a fare gli appostamenti davanti alle scuole. Quando iniziai ad allenare, negli anni Novanta, la prima cosa che mi dissero fu: vai fuori dalle elementari, compila una lista di quelli alti, prendi il numero di telefono, parla con la famiglia e fagli fare un allenamento. Sono cose che fanno la differenza“.

Parole che non sono affatto piaciute al presidente della Federazione Italiana Pallacanestro Gianni Petrucci, che sempre al quotidiano torinese ha risposto ieri smentendo l’allenatore e rivendicando un’asserita superiorità del suo sport: “Trinchieri dice una solenne banalità. Sembra un buon allenatore, ma fa parte di coloro che pensano di sapere tutto. E mi fanno paura quelli così. Io rispetto e applaudo le vittorie del volley e la loro capacità di reclutamento, ma noi siamo un’altra cosa. Noi siamo professionisti e loro dilettanti, noi abbiamo il confronto con l’NBA e loro no. Rivendico la nostra diversità“.

Due mondi, dunque, che sembrano destinati a non incontrarsi mai e guardarsi in cagnesco, tra snobismi e paure reciproche. Ma sarà proprio così?

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