Sarebbe quasi impossibile scorporare la maglia della Vero Volley dall’anima e dall’immagine di Thomas Beretta. Dopo dieci stagioni trascorse in questa squadra e dopo centinaia di partite, nelle quali Monza, dai tempi del debutto in Serie A2 è diventata una delle più importanti realtà della pallavolo maschile italiana, il capitano traccia una linea di demarcazione molto netta, tra ciò che è stato e ciò che sarà la sua carriera:
“Se mi chiedesse cosa vorrei fare ancora con questa maglia, le direi certamente che vorrei vincere uno scudetto. Sarebbe bello e importante non solo per la mia carriera, ma per la storia di questo club. Ciò che mi ha guidato e motivato in questi anni è stato il pensiero di vincere qualcosa di importante. Ci siamo riusciti con la CEV Cup lo scorso anno, ed è un trofeo che abbiamo sognato ma che abbiamo cercato e voluto vincere a tutti i costi. Quest’anno abbiamo centrato l’obiettivo play off, ma con Trento non siamo riusciti a conquistare la semifinale“.
Conoscendo il personaggio Beretta, pretendeva di più.
“Non è una pretesa, ma una constatazione fatta rispetto alle basi gettate dalla società ad inizio stagione. È stato un campionato certamente strano per tutti, e i play off lo dimostrano. Per noi dico che è stata una stagione sfortunata. Cachopa, che doveva guidare la squadra dall’inizio, si è infortunato e ovviamente abbiamo fatto un po’ di fatica a ricostruire gli equilibri nel proseguimento della stagione. Zimmermann lo ha sostituito egregiamente, questo sia ben chiaro. Ma se ci fosse stato Fernando, con la continuità costruita da agosto, magari avremmo potuto puntare un po’ più in alto“.
La squadra costruita era una delle più forti della Vero Volley. E adesso?
“Sì, eravamo una bella corazzata. Vorrei dire che è stato un onore condividere il campo per due anni con un atleta e amico straordinario come Grozer. Adesso non lo so, è ancora presto per parlare della prossima stagione, io so per certo che mi allenerò qui ancora per un po’ e poi andrò in vacanza in Indonesia con Sara (Loda, n.d.r.), la mia compagna, che ha avuto una stagione abbastanza lunga e laboriosa in Turchia“.
Cosa ha pensato quando ha visto i suoi amici e dirimpettai di Milano giocarsi la semifinale scudetto?
“(ride, n.d.r.) Che sono stati bravi. Non mi chieda di invidie e competizione, perché al di là di quella sportiva, io non sento l’aria del duello tra Monza e Milano, anzi. Sono contento per molti di loro che sono amici, e certamente dico che volevo esserci anche io con la Vero Volley“.
Poteva esserci anche Monza?
“Credo di sì. È stato l’anno in cui tutti hanno vinto e perso con tutti. Un campionato davvero equilibrato, tolto l’exploit di Perugia che però poi ha subito un’inspiegabile debacle proprio sul finale di campionato“.
Lei è un atleta navigato. Se lo è spiegato?
“Mi è capitato di vederli proprio da poco e di giocare contro di loro. Credo che nemmeno i diretti protagonisti abbiano ancora realizzato cosa sia successo“.
Cambiamo argomento. In questi giorni è uscito il libro di Bruno, che è stato suo compagno di squadra. Un libro molto sincero che racconta il volley a 360°.
“Credo che sia un libro che lo rispecchia molto. Non l’ho ancora letto ma, dai primi passaggi, capisco che sia un racconto autentico. Io, lui ed Earvin a Modena abbiamo legato molto. Quando vengono qui a giocare, si fermano sempre a mangiare da me. Bruno è una persona che ha vinto tutto, è un atleta incredibile. Per me è stato un grande supporto e ha sempre saputo usare le parole giuste. Conoscerlo nel mio primo anno di Superlega è stato importante“.
Lei scriverebbe mai il libro sulla sua carriera?
“Perché no? Non credo di essere un nome in cima alla scelta degli editori, ma se a qualcuno interessasse pubblicare la storia di un pallavolista medio, che non ha vinto ciò che Bruno ha vinto in carriera, lo metterei giù“.
Sarebbe onesto come i suoi predecessori illustri?
“Io credo che tutti sappiano quale sia la carriera di un pallavolista. È fatta di tante cose, di tanti momenti, quelli belli e quelli meno belli. La chiave è riuscire a trovare un equilibrio che ti mantenga sempre in piedi. Ognuno ha il suo. Mi racconterei con sincerità, sì“.
di Roberto Zucca