Come ogni anno si arriva alla fase decisiva della stagione e si ripresenta il problema delle categorie dei campionati giovanili femminili. In Italia, al di là di una breve parentesi durante la pandemia, le ragazze giocano in campionati “sfalsati” di un anno rispetto ai colleghi del maschile: per questi ultimi, le categorie di riferimento sono infatti Under 15, Under 17 e Under 19, al femminile invece si gioca in Under 14, Under 16 e Under 18 (mentre a livello internazionale la differenza non esiste). Una scelta che comporta numerose difficoltà soprattutto per le ragazze più grandi, costrette a concludere il loro percorso giovanile un anno prima di quello scolastico, e in molti casi a cambiare squadra (e quindi istituto) proprio alla vigilia della maturità.
Il problema viene sollevato ciclicamente – qui la nostra intervista del 2020 a Manù Benelli – e quest’anno a riproporlo è un gruppo di genitori, che ha indirizzato una lettera sull’argomento alle principali autorità sportive e politiche: il presidente della Fipav Giuseppe Manfredi, il presidente del CONI Giovanni Malagò, il ministro dello Sport Andrea Abodi, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, il ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella e i relativi dipartimenti e segretariati, chiedendo di sanare quella che considerano “un’evidente disparità di trattamento“.
Riportiamo integralmente il testo della lettera:
“Siamo un gruppo di genitori di ragazze nate nel 2005 e anni successivi, militanti in diverse società di volley sul territorio nazionale. Per poter competere ad un livello di eccellenza molte di loro si sono allontanate da casa giovanissime per inseguire un sogno. Lo sport aiuta ad inseguire i sogni, ma lo studio aiuta a completarli.
Come ogni anno, alla fine del percorso giovanile, molte di queste ragazze saranno costrette a cercare una nuova società seniores e, molto probabilmente, cambiare scuola all’ultimo anno del ciclo educativo. Quest’anno sarà il turno delle 2005, che dovranno scegliere tra cambiare scuola o completare gli studi nella scuola dove si sono formate e, in quasi tutti i casi, trovare una società di livello inferiore al percorso agonistico svolto. Nell’ultimo caso è il primo passo verso l’abbandono dell’attività.
La situazione rappresenta un’evidente disparità di trattamento tra il settore maschile e quello femminile. I maschi non sono chiamati a compiere scelte così nette, poiché possono continuare l’attività giovanile fino alla fine del ciclo scolastico per poi prendere le decisioni con tutta la libertà del caso. Alle ragazze questo non è concesso, devono scegliere tra educazione e attività agonistica.
La strutturazione dei campionati risulta incomprensibile, poiché il maschile ha campionati nazionali U15, U17, U19, le categorie dei campionati internazionali femminili sono U17, U19, U21, mentre il campionato nazionale femminile ha le categorie U14, U16, U18. Pare che la ratio per il non allineamento sia dovuta al desiderio dei tecnici delle nazionali di avere ragazze già preparate un anno prima. Se fosse così si antepone l’interesse di una ventina di ragazze che essendo già in nazionale vivono un’esperienza agonistica eccezionale ad alcune centinaia di praticanti che molto probabilmente lasceranno l’attività. In aggiunta è molto singolare che il desiderio di avere atleti più pronti si limiti al settore femminile e non a quello maschile.
L’analisi della curva di abbandono sportivo mostra come nelle ragazze i due momenti critici sono il passaggio dalla terza media alla prima superiore e l’ultimo anno di giovanili in corrispondenza del quarto anno di superiori. Se la mitigazione del primo momento di abbandono appare più complessa per la concomitanza di più fattori, il secondo può essere agevolmente mitigato con il cambiamento delle categorie giovanili.
Ciò che a voi può sembrare un puro aspetto formale è per le ragazze un punto importante. Ragazze che per anni hanno giocato a livelli di eccellenza si trovano davanti alla scelta di scendere di categoria o trasferirsi di scuola mentre il loro compagno di classe che gioca a basket o pallavolo può tranquillamente proseguire. A ragazze che hanno speso tempo ed energie, lavorando sodo in palestra e crescendo sul piano personale grazie agli insegnamenti dello sport, nessuno ha mai dato una risposta chiara sul perché il loro percorso debba cambiare radicalmente o, peggio ancora, interrompersi un anno prima dei maschi.
Le nostre figlie saranno le vostre atlete, ma anche le cittadine di domani, che porteranno con loro il rimpianto di non aver potuto compiere appieno il percorso che hanno intrapreso per la maggior parte della vita, sentendosi discriminate nei confronti degli atleti maschi e delle loro coetanee in Europa”.