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Il 39% dei minori ha subito abusi nello sport: “Chi non combatte è complice”

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In Italia il 39% degli atleti che hanno praticato attività sportiva prima dei 18 anni è stato vittima di abusi o violenze. Questo il risultato più rilevante e sconvolgente della ricerca “Athlete Culture & Climate Survey“, presentata oggi a Milano, nella sede del Banco BPM. La ricerca statistica, la prima in Italia sui numeri della violenza e degli abusi nell’ambito sportivo, è stata ideata dall’associazione ChangeTheGame e realizzata da Nielsen. Ispirata alla ricerca “CASES – Child Abuse in Sport European Statistics“, ricerca condotta su oltre 10mila atleti in sei paesi europei, l’indagine ne ha mutuato metodologia e impostazione etica per colmare una lacuna sul tema presente solo in Italia.

I dati esposti da Lorenzo Facchinotti, head of research di Nielsen, e Benedetta Barchielli, psicologa dell’università La Sapienza di Roma, insieme alla fondatrice dell’associazione Daniela Simonetti, emergono da un’indagine quantitativa condotta su 1446 individui tra i 18 e i 30 anni che hanno praticato sport durante la minore età e da una qualitativa composta da 16 interviste individuali ad atleti vittime di violenza (di questi, 3 sono pallavolisti). Come accennato, la quota di intervistati che dichiara di aver subito violenze è molto elevata: per il 30,4% si è trattato di violenza psicologica, per il 19% di violenza fisica, per il 15% di negligenza e per il 14% di violenza sessuale (con o senza contatto fisico: il 6% le ha subite entrambe). Il 19% dei minori ha subito divers tipi di violenza.

Alessandra Marzari Daniela Simonetti ChangeTheGame
Foto Vero Volley

Gli atti di violenza risultano maggiormente diffusi tra gli atleti più giovani e, seppure di poco, tra gli uomini rispetto alle donne (soprattutto per quanto riguarda violenza fisica e sessuale). Altro dato allarmante è il fatto che la concentrazione degli abusi salga esponenzialmente con il livello di agonismo, raggiungendo il massimo valore tra gli atleti di livello internazionale. Nel 50% dei casi le violenze iniziano entro i 15 anni e ancor prima nel caso della violenza psicologica; i responsabili sono nella maggior parte dei casi i compagni di squadra (conosciuti per il 33,1% e non conosciuti per il 22,7%) e gli allenatori o allenatrici (31,1% dei casi, più comune tra le donne). Molto frequentemente sono gli adulti a tollerare, o addirittura avviare, gli abusi poi portati avanti da coetanei.

Le violenze denunciate sono spesso azioni di bullismo in cui la vittima viene derisa per caratteristiche fisiche o caratteriali, esclusa dalle attività di gruppo o aggredita per performance poco brillanti, mettendo in opera un vero e proprio processo di colpevolizzazione della vittima, le cui ripercussioni, in molti casi, proseguono fino all’adolescenza o all’età adulta. Nel caso delle donne si tratta frequentemente di paragoni svalutanti con altri bambini e bambine sul piano dell’immagine corporea. Proprio un’ex pallavolista riferisce i comportamenti della sua allenatrice: “Lei aveva un modello, dovevi avere un certo fisico, e se non riuscivi era perché non eri così. Mi diceva: ‘Guarda che belle gambe hanno le altre’“.

Un altro dato che emerge dall’indagine è il fatto che la maggior parte delle vittime di violenza non chiede aiuto (complessivamente il 55,9%), perché ritiene gli abusi subiti accettabili o tollerabili, perché non vuole mostrarsi debole o perché non sa a chi rivolgersi. Particolarmente difficile è spiegare ai genitori perché si voglia abbandonare l’attività sportiva: tra le vittime il sentimento prevalente è quello della vergogna, e molti temono di non essere creduti. Anche le conseguenze sulla vita delle vittime sono rilevanti: il 32% lascia il mondo dello sport, il 29% cambia disciplina, il 22% cambia società.

LA PRESENTAZIONE INTEGRALE DEI RISULTATI DELLA RICERCA

L’incontro è stato aperto dall’intervento in videoconferenza del professor Mike Hartill, della EdgeHill University di Ormskirk, Lancashire, artefice della riceca CASES nel 1995: “Le organizzazioni sportive sperano sempre che il problema non le tocchi – ha denunciato Hartill – a meno che non siano obbligate dal governo o dall’opinione pubblica a fare qualcosa. Questa situazione danneggia l’immagine delle Federazioni coinvolte e dello sport in generale. Adesso è cruciale sfruttare il momento di attenzione sul tema per introdurre forti policy all’interno delle organizzazioni, prevenire ed educare tutti coloro che sono coinvolti, permettere di denunciare anonimamente le violenze, offrire sostegno psicologico ad atleti e famiglie. Ma soprattutto è fondamentale che le istituzioni sportive italiane lavorino con le associazioni, creando un’unità che possa coordinare e raccogliere gli esperti sul tema“.

Alessandra Marzari Daniela Simonetti ChangeTheGame
Foto Vero Volley

Sul tema è ancora una volta forte la presa di posizione di Alessandra Marzari, presidente del Consorzio Vero Volley, da sempre in prima fila nel sostenere le attività di ChangeTheGame: “È ora che coloro che governano lo sport, che si tratti del Coni, di una Federazione o di una piccola società sportiva, prendano coscienza che gli abusi esistono e che sono i loro collaboratori a perpetrarli. Una presa di coscienza che pare lontana, soprattutto lenta nell’agire, offuscata da pensieri non nominabili che sanno di timore della verità, di protezione dell’indifendibile“.

Ogni attore del mondo dello sport – è l’appello di Marzari – può fare qualcosa per combattere chi toglie allo sport il suo compito principale, che è quello di migliorare le abilità di vita, di promuovere l’adattamento sociale, di allontanare dai comportamenti a rischio tutte le bambine e i bambini e gli adolescenti che lo praticano con passione e innocenza. Chi si occupa di sport e non combatte attivamente e praticamente con i fatti gli abusi ne diventa oscuro garante, un complice. E non si hanno i numeri che presentiamo oggi con questa ricerca senza complici“.

Il presidente di Sport e Salute Vito Cozzoli è intervenuto con un videomessaggio: “È importante che su questo tema l’intero sistema sportivo e la società si interroghino nel loro complesso. Abbiamo il compito di eliminare le violenze e gli abusi attraverso gesti concreti e quotidiani; dobbiamo riflettere su quali strumenti sono già in campo e su quelli che possono essere ulteriormente portati avanti, non solo dal punto di vista normativo ma anche nella quotidianità, perché lo sport sia un porto sicuro e non un ambiente a rischio. Dobbiamo essere la prima linea nella tutela delle ragazze e dei ragazzi, c’è tanto ancora da fare ma insieme vinceremo“.

Anche il capo del dipartimento delle Politiche Giovanili del Governo, Michele Sciscioli, non è potuto essere presente ma è intervenuto in videoconferenza: “La situazione è ben più drammatica di quanto potessimo immaginare – ha ammesso commentando i risultati –. Questi dati ci fanno capire dove è necessario guardare, quali sono i metodi da utilizzare e, ancora più importante, che il nodo cruciale è informare le famiglie, gli stessi atleti, i tecnici, i volontari. Dobbiamo creare una comunità che faccia da ponte per l’educazione e da agente di cambiamento“.

Il successivo dibattito, moderato dalla giornalista Monica D’Ascenzo, ha visto tra gli altri gli interventi di Stefania Pizzolla, dirigente del servizio Comunicazione, Eventi Sportivi, Studi e Ricerche del Dipartimento per lo Sport; Rocco Briganti, direttore generale di Specchio Magico Cooperativa Sociale Onlus/CISMAI; Franco Arturi, direttore generale della Fondazione Candido Cannavò per lo Sport; Sara Landi, responsabile nazionale dell’Area Psicologica FIGC-SGS; Paolo Emilio Adami, medical manager dell’Healt & Science Department di World Athletics; Fabio Iudica, avvocato cassazionista e docente di Diritto Sportivo, e il magistrato Paola Pendino, oltre alla stessa Alessandra Marzari.

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