La differenza tra presenza e assenza può essere marginale finché esiste la memoria. Così scrive la scrittrice Judith Schalansky in Inventario di alcune cose perdute. Sono passate alcune settimane dall’ultima volta in cui abbiamo visto Oreste Cavuto vestire la maglia azzurra: ho sempre pensato che quella casacca gli appartenga di diritto, un po’ perché ha aiutato a costruirne il senso insieme ad un gruppo di ragazzi. Un po’ perché la memoria dei migliori non cancella ciò che si è percorso, sia accaduto nel presente recente o in un passato glorioso. Da cui voglio partire per intervistare un personaggio così bello e complesso allo stesso tempo:
“Devo essere onesto, dichiarando che quando ho ricevuto la convocazione per il collegiale di quest’anno, non pensavo potesse arrivare. Con De Giorgi ho un rapporto di trasparenza, di enorme fiducia reciproca, per cui lo ringrazio sempre. Ci siamo confrontati e gli ho esternato queste mie riflessioni. Poi ho fatto ciò che ho fatto sempre, ovvero mi sono buttato sul lavoro e speravo che la convocazione potesse proseguire anche nei mesi successivi. Così non è accaduto. E io ci spero sempre. Lavoro ogni giorno per questo“.
Quando vede Lavia e Sbertoli da casa, è più la gioia di vedere i suoi migliori amici in azzurro o il rimpianto di non essere lì con loro?
“Sono più felice per loro. Chi mi conosce sa che le serate della nazionale le passo a casa da solo, concentrato e in completa solitudine. Quando vincono mi emoziono sempre, e con la testa sono lì. Vorrei essere a vivere tutto quello come è capitato in passato. Ogni volta che indosso quella maglia, durante l’inno, la stringo forte e in cuor mio spero che ci sia un’altra occasione per indossarla“.
Noi, Italia! Ossia Balaso e Cavuto che inventano quell’essere azzurri.
“(ride, n.d.r.) Sì, vorrei condividere il copyright con Fabio, perché una sera in camera con lui, abbiamo pensato a quell’urlo da fare prima delle partite. È un modo di essere, del sentirsi parte di quel gruppo magico che portiamo tutti dentro per tutto l’anno. In attesa di ritrovarsi e ricondividere quell’esperienza“.
Con Daniele e Riccardo condivide l’essere parte dell’Itas Trentino. Incomincio col chiederle se, quando li vede fare certe cose in campo, ne rimane stupito o è ordinaria amministrazione trentina.
“Lei parla di certe giocate? Sì, fanno parte di loro da tanto. Voglio anche dirle perché. Perché sono due che non si risparmiano in palestra. Daniele ha dimostrato di essere uno dei più forti nel suo ruolo. Riccardo è un lavoratore incredibile. Ed è uno che ha vinto lo scudetto in un campionato come la Superlega, che racchiude i migliori del mondo. Ci sono squadre che sono dei veri dream team, e il livello di certe partite è superiore a quello delle gare disputate con la nazionale“.
Veniamo a Trento. Impressioni di settembre?
“Buone. All’inizio avevo il timore per il cambio di panchina. Nuova gestione, nuovo staff tecnico. Devo dire che Fabio (Soli, n.d.r.) non ha fatto la rivoluzione ed è arrivato senza stravolgere le cose. Siamo subito entrati sulla stessa lunghezza d’onda e mi trovo molto bene. Ovviamente stiamo lavorando a ranghi ridotti, con i ragazzi delle giovanili che ci stanno supportando nel dare ritmo alla preparazione. Non vedo l’ora che il gruppo si ricompatti e che la stagione possa entrare nel vivo“.
Si torna in Superlega con lo scudetto cucito sulla maglia. Con quale spirito?
“Difendere il lavoro e i sacrifici fatti la scorsa stagione. Dobbiamo rendere onore a ciò che siamo riusciti a fare e dimostrare lo scorso anno e dovremo giocare con la massima serenità per affrontare una stagione difficile, dura, lunghissima. Prima di parlare di vittorie o dare i nomi ai trofei da conquistare, vincere significherà attuare tutte le leve che serviranno per ripetere i meccanismi che ci hanno portato a conquistare il titolo italiano ad esempio“.
Dove si trovano gli stimoli dopo tutti questi anni a Trento?
“Gli stimoli si trovano nel dimostrare sempre di essere dentro un percorso di crescita continuo. Gli obiettivi restano gli stessi, ovvero lavorare e dare il 110% ogni giorno in palestra. È quello che mi prometto ogni anno, spesso spingendo più del dovuto. Ma devo confrontarmi con certi giocatori e certi avversari, per i quali è necessario fare più di quello che si deve. Quest’anno vorrei restare più in campo possibile e dimostrare a Fabio di essere un uomo su cui poter contare sempre“.
Ho sempre pensato che lei sia impossibile da immaginare senza la maglia di Trento addosso.
“Giocare con la maglia con cui sono cresciuto è un sogno che si rinnova ogni anno. Trento è una maglia cucita addosso e farei anche io fatica ad immaginarmi in un’altra realtà, in una città diversa e con una maglia nuova. Non credo che potrei riuscire ad essere performante al 110% senza questa maglia, o almeno voglio pensarla così“.
Come esprime la gratitudine nei confronti di questa realtà?
“Cerco ogni anno di ripagare la fiducia intercorsa e provo a dare un contributo maggiore ogni anno che passo. È bello ed è stato bellissimo aver costruito un pezzo della storia di questo club assieme a tutte le persone che mi vogliono bene“.
di Roberto Zucca