Il sogno americano esiste ancora. Certo, la conquista del West non passa più per le gesta dei cowboys attraverso i deserti del Nevada e dell’Arizona, ma lo spirito pionieristico resiste anche nel terzo millennio. E spesso l’american dream è cullato da un pallone: infatti, anno dopo anno, sempre più talenti da tutto il mondo inseguono l’idea di affermarsi nello sport a stelle e strisce, conseguendo contemporaneamente una laurea di prestigio. Un’esperienza particolare che sta vivendo anche Chiara Cucco – libero classe 2002 – tra il campo e i banchi della facoltà di Biologia della Hofstra University.
Sul finire della fall season 2023, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’ex giocatrice della UYBA Busto Arsizio.
Come procede la sua esperienza sportiva statunitense?
“La mia esperienza procede molto bene, anche se forse un po’ troppo velocemente. Mi sembra di essere arrivata ieri negli USA, e invece sono già passati più di due anni. Il tempo è veramente volato e non mi pare vero di essere a più di metà del mio percorso. Perciò, cerco di godermi ogni giorno e di trarre il massimo da ogni momento perché so che in un attimo questa esperienza volgerà al termine“.
Come è nata l’opportunità di giocare negli USA? E perché ha scelto proprio la Hofstra University?
“Ho sempre desiderato vivere un’esperienza all’estero durante gli anni dell’università, ma inizialmente ero indirizzata più verso l’Europa, magari solo per uno o due anni. Mai avrei pensato di andare negli Stati Uniti per tutto il mio percorso universitario. Durante le superiori, sono venuta a sapere da una mia amica e compagna di squadra dell’opportunità offerta dall’agenzia Sportlinx360 di ottenere una borsa di studio per studiare e giocare negli USA. La cosa mi ha immediatamente incuriosita. Così, ne ho parlato con la mia famiglia, mi sono messa in contratto con l’agenzia e ho iniziato l’iter per cercare di ottenere una borsa di studio.
Mi sono state presentate diverse offerte, ma alla fine la mia scelta è ricaduta su Hofstra per diversi motivi. Innanzitutto, la squadra di pallavolo è di buon livello, molto competitiva e sempre nelle prime posizioni nella conference. A livello di studi, Hofstra è considerata un’ottima università, con un’altissima percentuale di studenti che trovano lavoro subito dopo aver completato il percorso di studi. Infine, la posizione dell’università è estremamente vantaggiosa: si trova a soli 30 minuti di treno da Manhattan, il che offre grandi opportunità in ambito lavorativo per il futuro“.
A distanza di due anni e mezzo, è convinta che sia stata la scelta migliore per la sua crescita? In quali aspetti è migliorata maggiormente?
“Dopo due anni e mezzo posso dire che sì, rifarei questa scelta. È un’esperienza che mi ha insegnato e continua ad insegnarmi moltissimo, non solo da un punto di vista pallavolistico, ma anche e soprattutto da un punto di vista personale. Ho dovuto imparare a prendermi cura di me stessa lontano dalla mia famiglia, ho imparato ad assumermi le mie responsabilità, a fare le mie scelte e ad accettarne le conseguenze. Questa esperienza mi ha fatto capire molto riguardo alla persona che sono, mi ha insegnato a lottare per ciò in cui credo, a lavorare duramente e a non lasciare che il giudizio degli altri influisca sulle mie idee. Sono cresciuta molto da quando ho messo piede per la prima volta negli Stati Uniti: non è sempre stato facile, anzi, ma sono convinta che tutto ciò che ho imparato mi aiuterà molto nel costruirmi una vita e un futuro una volta terminati gli studi“.
Quali sono le differenze principali tra la pallavolo italiana e quella che ha trovato negli States? Cosa l’ha colpita maggiormente?
“La cosa che mi ha colpito di più – anche perché riguarda direttamente il mio ruolo – è il fatto che il libero negli USA può battere: questo non succede in nessun’altra parte del mondo. Inizialmente ero abbastanza preoccupata, perché non avevo mai dovuto farlo, ma alla fine ho accettato la sfida e mi sono messa in gioco, imparando qualcosa di nuovo. Inoltre, negli Stati Uniti, se la palla tocca il soffitto e rimane nella tua metà di campo, puoi continuare a giocare, come se non fosse accaduto nulla; all’inizio mi risultava qualcosa di completamente assurdo, visto che in Italia viene fermato il gioco in questi casi. Infine, un’altra differenza riguarda il numero di sostituzioni permesse a ciascuna squadra in partita; qui ogni squadra può effettuare un massimo di 12 sostituzioni per set, ovvero il doppio di quanto permesso in Italia o nel resto del mondo“.
Com’è la sua giornata tipo a Hempstead, nello stato di New York?
“La mia giornata è solitamente divisa in due parti. La mattina è interamente dedicata allo sport: prima pesi e subito dopo allenamento. Il pomeriggio, invece, è dedicato all’aspetto scolastico, con diverse lezioni da seguire a seconda del giorno. Una volta terminate le lezioni, di solito studio qualche ora e, prima di andare a dormire, mi rilasso passando del tempo con le mie compagne di stanza, per esempio guardando un film, ascoltando musica, o anche solo chiacchierando. I weekend sono molto diversi a seconda del semestre.
La nostra stagione sportiva coincide con il semestre autunnale; quindi, nei fine settimana giochiamo sia di sabato sia di domenica, e non rimane molto tempo per fare altro. Durante il semestre primaverile, invece, non abbiamo partite, e perciò mi piace sfruttare il tempo libero per svagarmi. Le attività da fare sono tante, anche perché vicino all’università si possono trovare bowling, cinema, ristoranti e centro commerciale. Inoltre, la spiaggia è a circa 30 minuti di distanza e il centro di New York è raggiungibile in 30 minuti di treno, il che offre infinite possibilità“.
Qual è la cosa che più le manca dell’Italia e quale invece la cosa che più le piace degli USA?
“Sembrerà scontato, ma la cosa che più mi manca dell’Italia, a parte famiglia e amici, è il cibo. Non c’è nulla di paragonabile al cibo italiano e, trasferendomi all’estero, ho iniziato ad apprezzarlo molto più di quanto non facessi prima. Ogni volta che torno a casa cerco di godermi al massimo ogni pasto e di mangiare tutti i miei piatti preferiti.
La vita negli Stati Uniti è decisamente diversa, ma la cosa che forse mi ha stupito di più è il modo in cui sono stata accolta al mio arrivo. Non so se sia così in tutti gli Stati Uniti o se io sia stata semplicemente fortunata, ma tutte le persone che ho incontrato al mio arrivo sono state molto aperte e disponibili, pronte ad aiutarmi e supportarmi in tutto ciò di cui avessi bisogno. Mi ha veramente colpito come persone che non avevo mai incontrato prima e che non conoscevano nulla su di me si siano messe a mia completa disposizione, standomi accanto in ogni momento, specialmente all’inizio“.
Qual è la partita più bella o il ricordo a cui è più legata della sua esperienza alla Hofstra University finora?
“Ci sono tantissimi momenti che porto nel cuore di questi due anni e mezzo, e sceglierne uno è molto difficile. Da un punto di vista pallavolistico, uno dei momenti che più mi sono rimasti impressi è legato al premio di ‘Libero of the Year’ che ho ricevuto per la prima volta durante l’anno da freshman. Mi ricordo che la notizia mi è stata comunicata dalla mia allenatrice mentre eravamo sull’autobus per andare ai Playoff ed è stata un’emozione fortissima. Ricevere un riconoscimento del genere alla mia prima stagione è stata una soddisfazione enorme, una ricompensa per tutti gli sforzi e i sacrifici fatti. Ero davvero senza parole e mi sono sentita estremamente grata per l’affetto, l’incoraggiamento e il supporto ricevuto dalla famiglia, dagli amici, dalle compagne e dagli allenatori, che mi hanno permesso di raggiungere un traguardo così importante.
Al di fuori della pallavolo, invece, un momento che non scorderò mai è legato alla prima volta che mi sono recata a Manhattan. Non avevo mai visitato il centro della città di New York e mi sono sentita come in un film. Tutto mi sembrava enorme, pieno di persone, pieno di vita e di opportunità. In quel momento ho realizzato quanto fossi fortunata a trovarmi lì e ad avere una possibilità del genere, e mi sono follemente innamorata della città. Ora ogni volta che posso vado a New York, anche solo per passeggiare tra le vie affollate, per prendere un caffè a Central Park, per fare un giro tra i negozi, o per godermi la splendida vista che si può ammirare dai numerosi grattacieli“.
Ci descrive un po’ la sua squadra?
“Una parola per descrivere la mia squadra è sicuramente ‘internazionale’. Ogni anno ci sono giocatrici che si laureano e lasciano il gruppo, e altre che invece si aggiungono, ma una costante in tutte queste stagioni è stato il fatto di avere in squadra persone da tutto il mondo. Nel corso di questi due anni e mezzo ho avuto compagne provenienti da Italia, Francia, Turchia, Germania, Grecia, Brasile, Polonia, Australia e Argentina. È una cosa che personalmente apprezzo moltissimo perché mi permette di entrare in contatto con diverse culture, di conoscere persone da tutto il mondo e di scoprire nuovi visioni e stili di vita. Inoltre, mi ha aiutato molto, specialmente all’inizio, perché tutte noi siamo lontane dalla nostra famiglia e affrontiamo qualcosa di simile: dunque, ci supportiamo a vicenda e diventiamo l’una la famiglia dell’altra“.
Qual è il bilancio della fall season 2023 sia dal punto di vista di squadra sia dal punto di vista individuale?
“La stagione che si è appena conclusa non è stata di sicuro una delle migliori della mia esperienza negli USA. Come squadra, siamo un gruppo molto unito e compatto, ma non siamo riuscite a esprimere al meglio il nostro gioco, e questo è andato ad intaccare il risultato finale della stagione. Allo stesso tempo, però, posso mettere nel mio bagaglio anche cose positive: per esempio, ho potuto legare molto di più con le mie compagne, perché nelle difficoltà ci siamo unite e insieme abbiamo cercato di trovare delle soluzioni. Quindi, mi sento di dire che, nonostante non sia stata una stagione meravigliosa dal punto di vista dei risultati, ho comunque imparato molto, fatto esperienze e creato legami che mi porterò dietro per tutta la vita. Nel complesso, considerando tutte e tre le stagioni che ho affrontato qui a Hofstra, invece, mi sento di trarre un bilancio più che positivo: mi sono tolta grandi soddisfazioni, sia personali che di squadra, ho ottenuto diversi premi, e ho la sensazione di essere migliorata molto“.
Cosa vuole fare Chiara Cucco da grande?
“Non so ancora esattamente cosa fare una volta completati gli studi. Però, mi piacerebbe lavorare nell’ambito della ricerca medica, magari sperimentando nuove cure o nuovi trattamenti per qualche patologia. Si tratta di un campo che ha sempre attirato la mia attenzione e, un giorno, sarebbe bello aiutare a sviluppare terapie per malattie al momento incurabili e contribuire a salvare delle vite“.
Un sogno nel cassetto?
“Il mio sogno è di viaggiare per il mondo. Mi piacerebbe visitare il maggior numero possibile di paesi, scoprire nuove culture, sperimentare diversi stili di vita. Sono convinta che viaggiare arricchisca moltissimo una persona, portandola a mettere in discussione se stessa e ciò in cui crede. Viaggiare fa crescere, apre la mente e permette di sviluppare una nuova e diversa visione del mondo“.
di Alessandro Garotta