Con la vittoria dello scudetto al timone della Sir Susa Vim Perugia arriva anche un record storico per Angelo Lorenzetti: l’allenatore marchigiano è il primo a conquistare il tricolore in 4 città diverse (due volte Modena, Piacenza, Trento e ora Perugia). “Sono cose che si fanno quando si diventa vecchi” scherza il tecnico a fine partita, prima di aggiungere: “È un anno in cui i ragazzi hanno fatto bene, abbiamo avuto anche un po’ di fortuna, ma non voglio togliere niente a loro. Sono felicissimo, perché come si è visto questa squadra aveva ancora qualcosa da dare. Non abbiamo giocato leggeri in questa finale, non è stata la nostra versione migliore, però bisogna provare a vincere anche così. Sono veramente felice e grato, adesso Perugia aspettaci, che facciamo festa, e poi dopo costruiremo le parole per il futuro!“.
Nel secondo set la svolta della partita: “Eravamo veramente messi male – ammette Lorenzetti – ma con le unghie e con i denti abbiamo tenuto“. E in quel frangente il coach della Sir si è giocato due time out nel giro di altrettanti punti: “Quando le cose devono girare girano, io ci ho provato. Avevo fatto un primo time out discretamente tranquillo, ma nel secondo ho dovuto chiedere agli operatori della Rai di non esserci, sono volate parole non belle… le dovevo provare tutte“.
Lorenzetti è riuscito dove tanti hanno fallito, portando Perugia allo scudetto dopo tre finali perse, ma non accetta di dare troppo peso al suo ruolo: “Non è falsa modestia se dico che sono capitato nell’anno giusto, quello in cui i ragazzi si portavano un po’ di rabbia e voglia di rivincita. Dentro c’è il lavoro dei colleghi che mi hanno preceduto, anche nella gestione delle tensioni che una società così importante può avere. Il mio lavoro vero inizia ad agosto“.
“La vittoria è sempre meravigliosa – dice poi il tecnico – non c’è bisogno di aggiungere niente. È felicità, è qualcosa che si accompagna alla sconfitta, perché nello sport si danno e si prendono. Chiaro che anche la vittoria, come la sconfitta, non ci definisce come persone, come squadra e come società, e su questo dovremo lavorare“.
Infine un piccolo “segreto” dallo spogliatoio della Sir: “Ne ho dette parecchie alla squadra, ho raccontato delle storie… il messaggio era che chi ha colpe non lavora leggero, e i ragazzi di colpe non ne avevano. Volevamo vincere, ma nessuno te lo concede, c’è da soffrire; quando tu hai un desiderio forte, non arriva mai con facilità. ‘Fare’ è stata la prima parola che abbiamo imparato quest’anno: i ragazzi l’hanno interpretata sempre bene, poi in finale così così, ma ci sta un passaggio a vuoto per tutti“.
di Eugenio Peralta