Caro diario, per quanto la mezzanotte sia passata già da un pezzo, ti scrivo su questa pagina dell’11 agosto 2024, una data storica, un giorno che non voglio dimenticare, quello del primo oro olimpico della pallavolo italiana.
La sera prima della finale un caro amico mi ha posto la più scomoda delle domande: “Le americane sono uno squadrone, secondo te ce la possiamo fare?”. “Vai sereno, gli diamo 3-0. Le ammazziamo” è stata la mia risposta. Così è stato, sportivamente parlando, l’Italia di Velasco ha dato 3-0 anche agli Stati Uniti di Karch Kiraly campioni olimpici uscenti. Una partita maestosa quella delle azzurre. E chi se la scorda più.
Posso dirti, caro diario, che su questa squadra ci avevo visto lungo sin dall’inizio. Ricordo un articolo che scrissi prima della Final Four di VNL, lo titolai Velasco ha già vinto tutte le sue scommesse, ora non restano che le medaglie. Fu un articolo che suscitò molto scalpore, qualcuno mi diede del gufo, altri mi dissero che certe cose è rischioso scriverle in anticipo, se poi va male rischi la figuraccia, ma a me il coraggio non è mai mancato e ai miei occhi, quello che vedevo, era sin troppo evidente: il Maestro stava facendo la magia, questa squadra avrebbe vinto tutto. Sono arrivati due ori, in VNL e alle Olimpiadi. I fatti mi hanno dato ragione.
Me ne convinsi anche quando Velasco e la Nazionale li andai a sbirciare di persona al Pavesi prima che partissero per Parigi. Il clima che si respirava era quello giusto, gli occhi da tigre ce li avevano già tutte in quegli ultimi allenamenti. Non dimenticherò mai De Gennaro che alla fine di ogni sessione si allenava ancora quasi un’ora a ricevere con Cichello. Povero Cichello, se non si è lussato la spalla per colpa di Moki non correrà alcun rischio negli anni a venire. La medaglia d’oro se l’è meritata anche lui solo per questo.
Con Velasco ho avuto l’occasione di chiacchierare anche un paio di volte. Alla fine me ne andavo via felice come un bambino, io che di anni ne ho 45. Mi sentivo più ricco, e al contempo triste perché quell’uomo me lo sarei voluto portare a casa, ascoltarlo per mesi interi, senza tregua. Nei giorni seguenti mia moglie credo abbia pensato che avessi un’amante, mi diceva che ero sempre assente, con la testa altrove, ma io continuavo a pensare a lui, alle sue parole, alla sua empatia. Mi aveva completamente sedotto, ne ero rimasto completamente rapito, affascinato. Oggi che i meme spopolano sui social potremmo farne uno con la mia faccia inebetita e titolarlo ‘L’effetto di Velasco sulla gente’.
Alla prima partita, contro le dominicane, vinsero 3-1, cedendo quello che sarebbe stato l’unico set perso in tutta l’Olimpiade. Le Azzurre non giocarono al loro meglio, in quella gara d’esordio erano tese come corde di violino. Lo scrissi anche in un altro articolo che fu un esordio ‘tra luci e ombre‘, ma scrissi anche che non c’era da preoccuparsi. Come avevano già fatto in VNL, ero convinto che sarebbero andate in crescendo, e anche in quel caso fu così. Nelle partite successive botte da orbi a chiunque: Olanda, Turchia, Serbia nei quarti, ancora Turchia in semifinale, Stati Uniti in finale.
Il livello di gioco che ha raggiunto questa squadra al culmine della sua avventura è stato qualcosa di mostruoso, sia dal punto di vista tecnico che mentale. Anzi, direi soprattutto quello mentale. A memoria non ricordo una partita di questa nazionale con un livello e una costanza di concentrazione così elevati. Le avversarie se le sono sbranate dal primo all’ultimo punto, attaccando palle assurde e difendendo tutte alla morte. Se avessero giocato con un cono gelato in mano e con l’aria condizionata spenta nel palazzetto, nella nostra metà campo non avrebbero fatto cadere a terra neanche una goccia.
Ti ricordi, caro diario, quando nel lontano 2006 ti scrissi di quella finale epica degli Internazionali di Tennis di Roma tra Nadal e Federer? In quegli anni le finali dei Master 1000 le giocavano ancora al meglio dei cinque set, quel match stabilì un nuovo record di durata: 5 ore e 6 minuti. All’epoca ero ancora un giornalista di primo pelo, inviato per l’ANSA. La mia carriera per oltre un decennio proseguì a Milano, a Sky Sport, di vittorie e imprese diverse di tanti altri sport ne ho vissute molte altre, eppure quel match restò a lungo la cosa più incredibile che avessi mai raccontato e vissuto come giornalista. Oggi mi sento di dire che questa finale olimpica lo ha scalzato dal mio personale primo posto.
Diverse volte, purtroppo, mi è capitato di piangere per colpa dello sport. Ho pianto davanti alla tv quando morì Ayrton Senna a Imola nel ’94 (avevo 15 anni), quando se ne andò anche Marco Simoncelli a Sepang nel 2011, quando è scomparso Kobe Bryant nel 2020. Questa volta però ho pianto lacrime di gioia, di commozione vera e sincera, non mi vergogno a dirlo. Colpa di quell’abbraccio tra Moki e Paola, in lacrime anche loro. Colpa soprattutto di Danesi e Sylla. Quando sul podio si sono scambiate le medaglie proprio non ho retto, fiumi e fiumi.
Che cosa meravigliosa che è lo sport. In questi vent’anni di carriera sono stati in tanti a dirmi che dovrei essere più distaccato in quello che scrivo, più pacato anche, ma io che lo sport l’ho praticato da che ho memoria proprio non ce la faccio a non immedesimarmi negli atleti. Chi non ha mai praticato sport in vita sua ha sempre il giudizio facile, in Italia poi figurati. Solo perché sono professionisti e ben pagati si crede di potergli dire la qualunque. E invece sono ragazzi e ragazze molto giovani, fragili anche loro, fanno una vita di sacrifici, di rinunce, di privazioni, vivendo lontano dai propri affetti negli anni della formazione, quelli più importanti e delicati per un adolescente, per un giovane uomo e una giovane donna.
A me, che ora sono anche padre, mi scende la lacrimuccia anche solo pensando a cosa staranno provando ora i loro genitori, i loro fratelli, i loro nonni, i loro amici più cari.
Penso anche a Paola (Egonu), con la speranza che da oggi la sua vita possa essere più leggera, anche se resto della convinzione che chi ama la pallavolo, chi va alle partite, chi la vede come la campionessa che è, non abbia mai scritto e pensato male di lei. Quello lo fanno altri, ma di questi altri, caro diario, non ho voglia di scrivere sporcando questa pagina.
Penso anche ad Alice Degradi, che sfortuna che ha avuto. Alle volte la vita è proprio ingiusta. Domani sai che faccio caro diario? Stampo questa foto delle ragazze sul podio, ne ritaglio un’altra di Alice e la incollo sopra e poi le metto insieme su questa tua pagina dell’11 agosto 2024. Tra qualche anno, quando mi capiterà di riaprirla e rileggerla è questa l’immagine di questa giornata che vorrò avere davanti ai miei occhi.
Alle volte la vita e lo sport ti danno, altre volte ti tolgono. Ma il tempo, a chi se lo merita, risarcisce sempre. Grazie ancora ragazze, ci avete regalato un sogno. Ora inseguitene degli altri, sono già lì ad aspettarvi.
Di Giuliano Bindoni