Di Alessandro Garotta
Quando la vita decide di farti lo sgambetto, gettandoti a terra e interrompendo un percorso che fino a poco prima ti sembrava ormai tracciato e sicuro, il bivio che ti si presenta è uno e uno soltanto. Puoi restare seduto lì, a terra, e piangerti addosso, oppure puoi reagire, risollevarti, rialzare la testa e ridisegnare quella strada che, seppur con qualche curva in più, può ancora essere la tua.
Ed è proprio quello che è capitato a Eva Ceccatelli che, dopo essere arrivata a calcare i taraflex di Serie A, ha dovuto fare i conti con la diagnosi di una rara malattia autoimmune, ma non per questo si è lasciata piegare e, anzi, ha rilanciato: è tornata in campo grazie al Sitting Volley con ancora più voglia e con straordinaria caparbietà, e, proprio come nelle favole, si è laureata vicecampionessa d’Europa con la nazionale e Campionessa d’Italia per tre volte con la Dream Volley Pisa.
A distanza di 5 mesi dalle Paralimpiadi di Tokyo, abbiamo voluto parlare con Eva della sua storia, dei suoi traguardi e delle prospettive future di una disciplina che si sta imponendo sempre di più nel panorama sportivo italiano.
Chi è Eva Ceccatelli e qual è la sua storia?
“Mi definirei una sportiva, una pallavolista… una testarda, introversa, cocciuta pallavolista! Sembra una domanda facile, ma in realtà la mia vita si è suddivisa in tre parti, molto diverse tra loro, in cui l’unico denominatore comune è l’amore per la pallavolo. Ho iniziato a praticare questo sport in quinta elementare con il sogno di arrivare in Serie A, sogno che ho realizzato giocando due stagioni in A2 (Amatori Volley Bari e Aquila Azzurra Trani, n.d.r.) e una stagione in A1 (Medinex Reggio Calabria). Tuttavia a 25 anni, durante la stagione 1999-2000, ho iniziato ad avere problemi di salute importanti, con diagnosi di sclerodermia, una malattia rara autoimmune e progressiva che mi ha costretto a lasciare la pallavolo stravolgendo completamente la mia vita”.
Come sono stati gli anni successivi?
“Oltre a smettere di giocare sono dovuta rientrare a Pisa, la mia città, e sono stata costretta a cercare un lavoro perché, come ogni sportivo quando termina la propria carriera, non avevo più uno stipendio. Perciò, per i successivi 17 anni ho fatto l’impiegata all’università, la Scuola Superiore Sant’Anna, e poi… la malata e l’allenatrice di squadre giovanili di pallavolo. Non sono mai riuscita a stare lontana dalla palestra”.
Poi l’incontro con il Sitting Volley.
“Nel 2016 la mia società sportiva, la Dream Volley Pisa, mi ha chiesto di allenare anche le ragazze che facevano parte della nazionale di Sitting Volley. E la mia vita è cambiata di nuovo, ma questa volta in meglio. Ho iniziato da allenatrice, poi le ragazze mi hanno convinta a provare a giocare, con dei tutori per proteggere le mani, la parte del corpo più colpita dalla malattia. Lì tutto è cambiato. Sono rinata, ho ricominciato a inseguire i sogni che avevo da ragazzina e senza dubbio sono andata anche oltre: sognavo di giocare in nazionale, ma alle Olimpiadi non avevo mai pensato”.
Quindi possiamo dire che lo sport rappresenta un’arma per sconfiggere i momenti difficili?
“Lo sport mi ha permesso di ritrovare fiducia in me stessa, sentirmi più forte, più sicura e ovviamente tutti questi sentimenti li ho riportati anche nella mia vita quotidiana e nel lavoro. Mi ha quasi fatto dimenticare gli anni più brutti, che sono diventati molto meno importanti”.
A che punto è la crescita del Sitting Volley? Esistono delle modalità efficaci di reclutamento in Italia?
“Il Sitting Volley è uno sport ancora poco conosciuto in Italia, anche se gli sforzi fatti dalla Fipav per promuoverlo stanno sicuramente dando ottimi frutti; basti dire che il numero di squadre iscritte al Campionato Italiano dal 2017 ad oggi è triplicato. Vorrei sottolineare un aspetto del Sitting che non è comune a tutte le discipline paralimpiche e che lo rende speciale: per tutte le competizioni italiane le squadre sono miste, cioè formate da disabili e normodotati che giocano insieme, quindi è molto importante dal punto di vista inclusivo e sociale”.
L’argento ai Campionati Europei e il pass per le Paralimpiadi di Tokyo. Quanto sono stati importanti questi traguardi per la nazionale italiana?
“Le Paralimpiadi… il sogno di ogni atleta. Quando siamo andate a Budapest per gli Europei, sapevamo di avere tutte le carte in regola per centrare la qualificazione, e che per raggiungerla saremmo dovute arrivare in finale. E così è stato. Ma questo è solo un punto di partenza, possiamo ancora migliorare e l’obiettivo è di arrivare a giocare alla pari con le più forti al mondo. Mi permetto di sottolineare quanto questi risultati siano ancora più difficili da raggiungere se consideriamo che noi giocatrici siamo anche lavoratrici, e che andremo alla Paralimpiadi utilizzando i nostri giorni di ferie”.
Come sta procedendo il percorso della Nazionale in vista delle Paralimpiadi?
“Purtroppo, la situazione in Italia in questo momento è molto difficile, perciò non ci possiamo allenare insieme e alcuni collegiali sono stati annullati. Noi, però, non molliamo: il nostro preparatore atletico ci ha dato un programma che possiamo fare a casa e noi ci alleniamo tutte insieme in videoconferenza. #DistantimaUnite: unite più che mai e con una gran voglia di riprendere la nostra preparazione”.
Cosa ci insegnano questi giorni di emergenza e quale messaggio si sente di dare?
“Credo che il coronavirus ci stia obbligando a ritrovare alcuni valori importanti che troppo spesso ci permettiamo di ignorare, come il rispetto delle regole e degli altri, l’unità, la necessità di lavorare tutti insieme per raggiungere un obiettivo comune… insomma, proprio come nello sport!”