Di Redazione
Arriva direttamente dalla Turchia il suo appello.
Stiamo parlando dell’azzurro Oleg Antonov intervistato oggi da Il Gazzettino e convinto che anche lo sport, ed ogni persona, possa fare la sua parte in questa “guerra invisibile”.
Ne ha viste tante, Oleg, che ha girato il mondo da quando aveva 17 anni ma quello che sta accadendo in Italia e ora nel resto del mondo, neanche negli incubi peggiori.
Ha vicino la moglie Laura Michielon, padovana, e i suoi tre figli piccoli. Skype è la sua finestra sull’Italia.
Quando ha capito che cosa stava succedendo qui? «Quando hanno iniziato a bloccare i primi voli, quando il numero dei contagiati ha iniziato drasticamente a salire. Allora ho compreso che la situazione si stava facendo per niente semplice».
In Turchia come hanno reagito? «La cosa che mi ha impressionato di più è che fino all’ultimo nessuno si aspettava qualcosa di simile. Pensavano tutti di essere in una zona che si salvava in mezzo alla bufera che c’era nel resto del mondo. Mentre in Italia fermavano i campionati, qui noi continuavamo a giocare».
Ne parlate tra compagni di squadra? «Prima, non più di tanto. I turchi e gli altri giocatori stranieri vedevano la situazione italiana come molto lontana, forse pensavano che non poteva replicarsi altrove. Poi quando è arrivata hanno visto la realtà in faccia. C’è preoccupazione per il futuro, ora siamo chiusi in casa e siamo aggrappati alla Tv, a internet e ai giornali che leggiamo sul tablet».
Che idea si è fatta dell’Italia da lontano? «Drammatica. Ogni mattina quando ti alzi leggi i giornali, speri che la curva scenda, che arrivi qualche notizia di conforto. Ma mi sono fatto l’idea che è molto importante che la gente segua rigorosamente quello che dicono le autorità per far passare il prima possibile ciò che sta accadendo. E poi ho informazioni “di prima mano”…»».
Da chi? «I miei suoceri, sono entrambi infermieri e lavorano all’ospedale di Camposampiero, in provincia di Padova. Ci aggiornano con testimonianze dirette su quel che vedono e vivono ogni giorno. Sappiamo il dramma che si sta vivendo sia nei reparti che tra la popolazione. Padova è casa mia, ho sentito il sindaco di Loreggia e presidente della Provincia, Luigi Bui, che è un amico. Abbiamo parlato della raccolta di fondi che Il Gazzettino ha avviato a sostegno dell’Ospedale di Padova: io ci sono, aderisco subito. Se tutti diamo una mano, piccola o grande, vinciamo prima».
È una corsa contro il tempo: ma che cosa possiamo fare noi tutti? «Possiamo fare molto. Se posso, indico tre priorità.
La prima? Sostenere con una donazione, piccola o grande non importa, chi sta lottando con i denti in prima linea: medici, infermieri, scienziati. I soldi che arrivano dalla gente possono essere usati subito, senza passare per la burocrazia. E usarli subito significa guadagnare tempo, e salvare vite umane. Perciò invito tutti, a partire dai miei compagni e amici del mondo del volley e tutti gli uomini e donne di sport, a versare un contributo alla raccolta organizzata dal Gazzettino. È facile, si può fare da casa».
La seconda? «State a casa. Ho sentito gente lamentarsi, parlando di “dittatura”: ridicolo. Capisco che stare in casa a lungo non sia piacevole, ma c’è uno sforzo da fare per il bene proprio e il bene di tutti. Per salvaguardare il nostro Paese. Io abito in un appartamento che non ha nemmeno i balconi, ma riesco ad allenarmi anche qui. Se stiamo in casa noi che siamo atleti professionisti, può riuscirci anche chi ama la corsetta».
La terza? «Smettiamola, per favore, di pensare e dire che colpisce i vecchi. A parte che non è vero, ma che vuol dire? Una vita è una vita: di qualsiasi età. Dobbiamo prenderci cura del nostro passato, del presente e del futuro: che siano i nostri nonni, i genitori, i coetanei, i figli. I nonni ci hanno permesso di essere quelli che siamo. E non è concepibile sdegnarli in questa maniera. Si meritano un trattamento migliore»