Il suo Lublino ha già fatto ritorno in Polonia con la coppa vinta poche ore fa all’Eurosuole Forum, Massimo Botti invece è rimasto in Italia: “Ovviamente sono esausto, ma ne ho approfittato per stare un po’ in famiglia, ripartirò domani” ci racconta al telefono. Non è una videochiamata la nostra, ma non serve guardarlo in viso, dalla voce traspare chiaramente tutta la sua gioia per questa Challenge Cup vinta. “Era impensabile all’inizio della scorsa stagione ipotizzare un trofeo. Esserci riusciti già al secondo anno è una cosa che non dico essere miracolosa, ma sorprendente sì, frutto di tanto lavoro e tanta dedizione”.

Frutto anche di scelte mirate nella costruzione del roster. In Italia si dice spesso che il mercato di tante squadre lo facciano i procuratori, in Polonia avviene lo stesso? Lei quanto è stato coinvolto nella scelta dei giocatori?
“Io ho avuto il 100% di responsabilità nelle scelte di mercato. Ho avuto totale carta bianca. In Polonia, come dappertutto ormai, il mercato apre a novembre. Noi avevamo un progetto da portare avanti e lo abbiamo fatto in totale condivisione. Personalmente non faccio caso a quale procuratore abbiano i giocatori ma faccio caso al valore dei giocatori e alle caratteristiche in funzione del gioco che vogliamo fare. Quelli che abbiamo ingaggiato tra novembre e dicembre, quest’anno saranno riconfermati al 99%, e di questo sono molto contento perché significa che è stato fatto un mercato intelligente, stando molto attenti anche al budget”.
Su quali caratteristiche ha puntato per costruire questa squadra?
“Sono partito dal principio che la mia squadra dovesse essere equilibrata in tutti i fondamentali. Abbiamo fatto quindi scelte mirate in funzione dell’efficienza in battuta, così come scelte di equilibrio a muro e in ricezione”.
Leon era stato messo in conto oppure è stata la ciliegina sulla torta?
“Wilfredo è stata una graditissima sorpresa che non avevamo preventivato. È stata un’opportunità che si è palesata alla fine del nostro mercato. Non avevamo costruito la squadra intorno a lui, ma quando è arrivato abbiamo adattato il nostro sistema di gioco anche a seconda della sua presenza. Questo perché ogni giocatore deve mettere a disposizione le proprie caratteristiche a servizio della squadra, ma anche viceversa. Come risultato abbiamo forse perso un po’ di equilibrio in certe cose, ma acquistando una potenza di fuoco assolutamente incalcolabile”.

E qui si è vista la sua mano. Leon poteva anche rivelarsi una tessera difficile da incastrare.
“Sicuramente, a quel punto, la sfida più grande è stata quella di dare un’identità alla squadra. Sappiamo benissimo di avere delle lacune, di essere una squadra molto fisica, poco propensa all’aspetto difensivo ma molto votata all’attacco, ma posso dire di essere molto soddisfatto di quello che siamo diventati. Sicuramente i raffinati del gioco potrebbero storcere il naso vedendo le nostre partite, questo lo so. Non siamo il Giappone, non siamo la Francia, ma non vogliamo neanche esserlo. Perché sappiamo di non poterlo essere. Noi siamo il LUK Lublin e noi giochiamo secondo i nostri principi, cercando di esaltare le nostre qualità e se possibile di nascondere i nostri difetti”.
Campionato italiano, campionato polacco: i luoghi comuni e i falsi miti si sprecano da tempo. Quali sono le reali differenze?
“Già il fatto che in un campionato ci siano 12 squadre e nell’altro 16 (si ridurranno a 14 dalla prossima stagione, ndr) rende i paragoni difficili. Sono campionati dissimili quando ci si avvicina al vertice, e quando si giocano le coppe europee se ne ha la riprova. Quello che si può dire è che il campionato polacco ha un bacino di giocatori locali che è incomparabile con quello italiano. Ne ha molti molti di più di medio-alto livello. Questo permette alle squadre di essere forse un pochettino più competitive, pur avendo solo tre stranieri in rosa”.
Come fanno in Polonia ad avere questo bacino così ampio di giovani di prospettiva?
“Non saprei dirlo ancora con certezza perché lo sto scoprendo poco alla volta anche io. È un fatto che a livello giovanile non ottengano chissà quali risultati, ma essendoci così tante squadre aumentano le possibilità di giocare e fare subito esperienze importanti. Il processo di crescita è più immediato e permette di costruire davvero tanti giocatori giovani di medio-alto livello. Altro aspetto da non sottovalutare è che in Polonia non solo le squadre sono di più, ma tutte hanno anche roster completi fatti da 14 giocatori che sono più o meno tutti dello stesso livello. Di conseguenza c’è anche più ricambio all’interno di un campionato lungo dove si giocano davvero tante partite”.
A livello di caratteristiche, cosa hanno in più i giovani giocatori polacchi rispetto ai pari età italiani?
“A livello fisico hanno sicuramente una marcia in più. Se da una parte ci sono pochi palleggiatori e liberi, di schiacciatori, opposti e centrali bravi e forti ce ne sono una marea”.
Facendo un passo indietro… possiamo parlare di Piacenza?
“Certo, non ho nessun problema a farlo”.
Col senno di poi, chi ci ha rimesso di più da quella separazione?
“Non spetta a me fare questo tipo di valutazioni. In questo momento io mi godo questo trofeo e ho solo da festeggiare. Mi godo il presente e il futuro. In questo momento sono contento di vivere in Polonia”.
Quindi nessun sassolino da togliersi…
“Guardarsi indietro farebbe male solo a me e non mi interessa farlo. Chiaro che è stata una bella botta, ho preso una bella porta in faccia, ma sassolini da togliermi non ne ho. Non porto assolutamente rancore. Anzi, auguro solo il meglio a Piacenza. Io sono di Piacenza e vorrò sempre bene alla piazza di Piacenza”.

Alle volte però si chiude una porta e si apre un portone. Giusto?
“Verissimo. Io alla fine ho avuto la fortuna di dover fare la valigia per andare a fare esperienza all’estero. Mi ritengo fortunato, mi è andata bene. Ho capito che la pallavolo di alto livello la si può fare anche altrove, non solo in Italia. Questa esperienza mi è servita enormemente perché adesso non ho paura di prendere la valigia e di andare”.
E se fare la valigia significasse tornare in Italia… ci tornerebbe?
“Se un giorno dovesse arrivare una proposta con un progetto importante, con delle ambizioni, certo che la terrei in considerazione. Detto questo, non sono costretto a tornare a tutti i costi”.
Per concludere, una parola su Civitanova?
“Ha dimostrato di essere una grandissima squadra. I primi due set li hanno giocati a un livello impressionante. Io dicevo ai miei giocatori ‘ragazzi, qua stan giocando bene loro, non ci fasciamo la testa, stiamo lì, resistiamo e vediamo se troviamo un’occasione per approfittarne’. Sapevamo di affrontare un top team. Era necessaria una crescita da parte nostra, cosa che abbiamo ricercato con insistenza per tutta la stagione. Sono strafelice che abbiamo raggiunto questo step proprio in questo momento così importante della stagione”.
Peccato solo per il palazzetto vuoto al momento della premiazione. Non un bel gesto di sportività.
“Il pubblico di Civitanova è stato pazzesco fino al quarto set, hanno dato una spinta incredibile alla loro squadra. Sì, peccato, comunque noi siamo stati felici lo stesso. Avevamo al seguito trenta tifosi che si sono fatti sentire e tutti quelli della società, presidente compreso. Alla fine ci siamo abbracciati tutti, per noi è stato bello così”.
Intervista di Giuliano Bindoni