Di Redazione
Si è svolta ieri a Roma la conferenza stampa di presentazione della candidatura di Antonella Bellutti, la sfidante di Giovanni Malagò per il ruolo di presidente del Coni nelle elezioni che si terranno il prossimo 13 maggio. Tra gli interventi a favore dell’ex ciclista, due volte campionessa olimpica, ci sono stati anche quelli di due rappresentanti del mondo della pallavolo: Manù Benelli, candidata alla carica di rappresentante dei tecnici, e Lara Lugli, la giocatrice protagonista di un caso mediatico che ha varcato di gran lunga i confini dell’Italia dopo aver denunciato il trattamento ricevuto dalla sua ex società durante la sua gravidanza.
“Lo sdegno e lo stupore generale sulla mia vicenda – ha spiegato Lugli – hanno generato in me perplessità e domande sui rappresentanti delle istituizioni adibite a vigilare sullo sport: ma come ci sono finiti lì? Cosa stanno facendo? Quanto ci vorrà per assistere a un cambiamento di rotta? Perché siete stupiti, perché non sapevate già, perché non siete intervenuti anni luce prima? La solidarietà l’accetto dagli amici, dalle associazioni, dagli sportivi, non da chi le regole le fa: da loro mi sarei aspettata delle scuse rivolte a tutte le Lara Lugli, che sono tantissime, ma ho visto invece mancanza di impegno e di volontà nel voler risolvere una volta per tutte queste situazioni da Medioevo“.
“Antonella – ha aggiunto la giocatrice – mi ha confermato da subito l’esistenza di queste discriminazioni, senza fingere stupore. Gli sportivi seguono principi semplici di etica e quando vengono calpestati sentono qualcosa dentro di loro che non possono ignorare. Per questo ci dobbiamo battere perché le belle parole diventino fatti. Chi ci rappresenta deve imparare ad ascoltare: lo sport non è un gioco di potere, è per antonomasia l’espressione di sani principi. E punto il dito anche su noi atleti, perché non possiamo pretendere di ricevere maggiori diritti se non siamo disposti ad assumerci maggiori doveri“.
Benelli ha riassunto le motivazioni della sua candidatura: “Ho 58 anni e faccio sport da quando ne ho 10, e la mia risposta alla domanda ‘Che lavoro fai?’ è sempre stata ‘Boh’, perché per lo Stato io non esisto, non ho un lavoro. Per la prima volta in pandemia qualcuno ci ha nominato, siamo i famosi collaboratori sportivi, e questa cosa mi ha creato emozione, spingendomi in questi mesi a mettermi in gioco e provare a rappresentare una categoria che non sa di esserlo, a livello nazionale, e ha bisogno di prenderne coscienza“.
“Il secondo motivo per cui mi presento – ha continuato l’ex campionessa azzurra – è perché credo che nessuno come i tecnici sappia cosa ci vuole per cambiare la mentalità: siamo quelli che lavorano sulla mentalità vincente, sappiamo come si fa a crearla e di sicuro non è restando ancorati al passato e lasciandoci rappresentare da chi finora non ci ha riconosciuto, non ha riconosciuto il mondo dello sport. Il nostro settore è stato il primo a essere chiuso e sarà l’ultimo a essere riaperto: questo vuol dire non credere nei valori dello sport“.
Parole ancora più dure quelle usate da Antonella Bellutti per attaccare l’establishment: “Sono distante dall’attuale dirigenza nel modo di vivere e gestire lo sport. Il Coni attuale non è la casa dello sport, tradisce la sua missione di servizio presso la collettività, trascurando il suo dovere di favorire la partecipazione e il coinvolgimento, distinguendo tra figli e figliastri, trascurando la logica del merito, alimentando un verticismo che allontana sempre più chi lo sport lo pratica da chi lo dirige, e questo ha ricadute drammatiche nel rispetto dei principi della democrazia quali uguaglianza, giustizia, inclusione“.
Bellutti ha definito il Coni “un feudo arroccato sulle sue posizioni, ancorato alle proprie logiche, i cui punti fermi sono il potere, come dimostrano i presidenti attaccati da anni alle stesse poltrone, e politiche retrive, immutabili e autoreferenziali che escludono ad esempio ancora i giovani e le donne dai luoghi apicali e fanno perdere fiducia e credibilità anche dagli organismi internazionali“.
E riguardo agli obiettivi del suo programma l’ex ciclista ha chiarito: “Il Coni deve assicurarsi che atlete e atleti siano in grado di sviluppare il proprio talento, ma senza chiederne il sacrificio in termini di formazione e crescita personale; ci deve essere equilibrio tra ricerca della performance e attenzione alla persona, il perseguimento del risultato non deve diventare alienazione. Senza questa attenzione l’agonismo è stato e sempre più sarà una fabbrica di disadattati. L’attenzione al futuro post-agonistico dev’essere un punto imprescindibile del programma, ma deve esserlo con fatti concreti e non fiumi di retorica“.
(fonte: YouTube Assist Press Office)