Di Roberto Zucca
I titoli di coda sono la parte più malinconica di un bel film. E un attimo prima che quello schermo nero ti appaia davanti agli occhi, ecco, quel momento lì è forse il momento più intenso. Questo film narra la storia di 18 anni di carriera, quella di Cristian Savani, atleta, pallavolista, capitano, ma soprattutto uomo. È un uomo che ha vinto tanto, forse meno di ciò che meritava e più di ciò che sperava. È la storia di un atleta che quando ha deciso di appendere le ginocchiere al chiodo, si è ritrovato travolto da un mare di sorpresa, delusione, ma soprattutto affetto. Perché non tutte le carriere sono accompagnate da grandi addii o da grandi celebrazioni, ma nel suo caso gli applausi scroscianti, arrivati da ogni parte del mondo, sono il segno che in quanto ad amore e rispetto, Savani ne ha ricevuto tanto.
La persona che in questi 18 anni gli è stata di fianco, Mihaela Travica, si è ritrovata negli scorsi giorni a ricevere lo stesso affetto di suo marito Cristian, per essere stata una compagna di viaggio pacata e forte nei momenti più duri ma sempre vincenti di una carriera nella quale ha scelto il dietro le quinte e il silenzio, che oggi per Volley NEWS ha scelto di interrompere.
Savani, quando ha scelto di smettere?
“Da mesi avevo preso la decisione di lasciare la pallavolo giocata per dedicarmi ad altro sempre nel mondo della pallavolo. Qui a Dubai mi hanno chiesto di prolungare il contratto per un’ulteriore stagione, ma fisicamente non me la sono sentita. Gli anni iniziano a farsi sentire sul mio corpo, perché ho sempre giocato al 110% per tutta la carriera. E se non posso garantire quella percentuale di rendimento io la carriera decido di finirla così”.
Sono stati giorni di grandi attestazioni di stima. Se lo aspettava?
“Onestamente no. Soprattutto perché sono arrivate non solo da compagni di squadra ma anche da avversari. Ci sono giocatori con cui avrei voluto giocare, penso a Giannelli e Bruninho, che mi hanno mandato delle attestazioni di stima molto belle. Così come non c’è stato un tifoso e dico uno, che ha scritto un pensiero negativo. Lo sfottò in questo caso sarebbe stato consentito. Anche un qualcuno che ti scrive semplicemente: era ora! Evidentemente qualcosa di buono l’ho lasciata a questo sport”.
A proposito di Bruno, conferma che qualche stagione fa era vicino all’accordo con Civitanova?
“Confermo. Mi volevano fortemente. Anche in quel caso Bruno mi scrisse, ad accordo sfumato, perché decisi di restare a casa e firmare con Verona. Non le dico il contenuto ma furono parole molto piacevoli. Ci siamo sempre stimati e continueremo a farlo. Non mi chieda se mi sono pentito della scelta. La risposta, visto come è andata quella stagione, viene da sé”.
Mihaela, cosa hanno significato per suo marito i giorni successivi all’addio?
“Sono stati giorni molto commoventi. Ci siamo ritrovati a tarda sera ad aprire l’album dei ricordi assieme. Ci siamo letteralmente seduti sotto le luci di Dubai e abbiamo iniziato a sfogliare pagine e pagine di momenti insieme. Un frullatore nel quale abbiamo inserito una serie di emozioni. È stato bello ma emotivamente forte”.
Ci sono momenti indelebili nella carriera di suo marito. Il momento peggiore?
“L’infortunio a Macerata nel 2012. Fu traumatico non solo dal punto di vista fisico. Era il momento più alto della sua carriera, nel quale stava giocando un campionato da paura. Nel giro di due minuti, in un allenamento di rifinitura, gli crollò il mondo addosso. Momenti come quello possono tranquillamente stabilire la fine di una carriera. Mio marito lo trasformò in un’occasione nel quale dimostrò quello che era e sarebbe stato per tutta la sua vita”.
Mi spieghi meglio.
“Fu un leone. Un guerriero. Pochi avrebbero ripreso a regime dopo il suo intervento. E lui lo fece con coraggio e senza pensare alle conseguenze. Mio marito ha sempre sostenuto che il suo punto di forza sia stato quello di essere arrivato dove è arrivato per il suo impegno. Io ho sempre pensato, e lo dico ora, che mio marito abbia avuto un grande talento”.
È stato l’uomo che cambiava le partite?
“Lo ha fatto. Non è stato mai quello da 40 punti contro le squadre del fondo della classifica. È stato quello che, spesso, nelle finali scudetto o nelle partite importanti della sua carriera, ha chiuso il venticinquesimo punto. Quei palloni ha sempre avuto il coraggio di chiuderli. E solitamente un palleggiatore quei palloni li smista sui più forti. E sui più talentuosi”.
Suo fratello Dragan Travica è il nuovo palleggiatore della Sir Safety Conad Perugia.
“Gli auguro di continuare a togliersi le soddisfazioni che merita. Perugia è una grande piazza della nostra pallavolo. E quel ruolo se lo è conquistato. Quindi se da tifosa smetterò di sostenere mio marito, sicuramente continueremo a sostenere Dragan. Ecco, se mi concede, ho sempre trovato il rapporto tra mio marito e mio fratello un rapporto unico. Cristian è stato molto vicino a Dragan in alcuni momenti della sua carriera. È nato un rapporto fraterno. Forse è il fratello che Dragan non ha mai avuto”.
Savani, per suo cognato sarà una seconda chance?
“Mi consenta di fare un appunto. Ho letto molti pezzi in questi giorni nei quali si parlava di questa seconda possibilità. La storia di Dragan non ho bisogno di raccontarla. Ma ad un certo punto è arrivato a vincere tutto ciò che c’era da vincere a Belgorod. Ha poi fatto due scelte non particolarmente redditizie, andando ad Ankara e in Iran. Si è rimboccato le maniche e ha scelto di riprendere da una piazza più modesta, Padova, nella quale ha dimostrato di essere un grande capitano. Perugia non è una seconda possibilità. È l’opportunità che doveva arrivare da tempo, perché Dragan non ha mai smesso di essere il giocatore vincente e forte di un tempo”.
In questi 18 anni di carriera, siete stati gli amici e i confidenti di moltissimi giocatori e delle loro famiglie. Primi fra tutti, Vigor Bovolenta e Federica Lisi.
“Tutti si soffermano sull’immagine di Londra e della maglia portata sul podio. In realtà, con pochi abbiamo scelto di condividere il ricordo degli anni con Vigor e Federica. Erano anni spensierati, nei quali rappresentarono la coppia nella quale ci ritrovavamo e con la quale spesso ci mettevamo allo specchio. Anni di consigli, di risate, di ricordi raccontabili e di altri che custodiremo per noi”.
Savani, me ne racconti almeno uno.
“Andammo a giocare a Trento. Se ben si ricorda, per i tifosi di Trento, dopo il mio addio, ero diventato bersaglio del peggior tifo della mia carriera. Bovo quella domenica mi disse di non preoccuparmi e di pensare solo ed esclusivamente a giocare. Ad inizio gara, andò in battuta, fece ace, e si girò a provocare la tifoseria. Lo fece per me, per addossarsi i fischi di un’intera partita. E l’effetto fu quello di una partita bellissima, che vincemmo in trasferta, di una gara che giocai in tranquillità e di Bovolenta che prese fischi tutta la partita, nonostante con i tifosi di Trento non avesse mai avuto nessun problema. Ecco chi era Vigor”.
A Londra lo portò sul podio. Mi raccontate qualche aneddoto di quel giorno?
“Intanto io non chiusi occhio. Mi svegliai alle 5 e andai alla mensa olimpica dove trovai il Mc Donald’s aperto e una fila chilometrica che era appena tornato da festeggiamenti e bagordi vari. Mi riconobbero gli australiani e mi fecero passare avanti. Ero l’unico italiano a far colazione, con un hamburger di Mc Donald’s. Nessuno mangiò. Dall’altra parte del tavolo ritrovai Aleksiev. Stesso hamburger, stessa faccia da chi voleva godersi quel giorno. Ci scrutammo e ci demmo appuntamento poche ore dopo”.
La storia disse che quella medaglia la vinse lei. Cosa successe?
“Mi ritrovai prima della premiazione a mangiare ancora un hamburger. In una panchina, fuori dal palazzetto. Di fianco Mihaela, con cui mi presi un momento perché non ci vedevamo da settimane. Iniziammo a parlare di Mia, perché prima della gara con gli Stati Uniti mi disse di aspettare nostra figlia. Fu un momento magico. Poi con Boninfante, Lasko e Giovi prendemmo la metropolitana per andare a casa Italia a festeggiare. Ma ci fermammo prima per bere una birra. Nel giro di mezz’ora ci trovammo assieme a tutta la squadra per bere e festeggiare. A Casa Italia ci arrivammo con un ritardo inenarrabile”.
Nelle ultime dirette Instagram ha incontrato Omrcen, suo ex compagno. A Macerata furono gli anni più belli?
“Furono anni bellissimi. Dentro e fuori dal campo. Con Igor ci siamo visti a Dubai per una cena ultimamente e abbiamo ricordato le peripezie di una squadra che vinse tanto e si divertì molto. Lei si ricorda la gara contro Novosibirsk?”
Mi aiuti a ricordare.
“Vincemmo la gara di andata a Macerata e partimmo per la Russia. Non fecero il visto ad Omrcen e arrivammo in aeroporto a Mosca, dove lui venne rimandato in Italia passando la notte in due metri di aeroporto, sorvegliato a vista dai russi per paura di fughe. Io giocai opposto, Parodi e Kovar in posto quattro. Fummo eliminati dalla Cev quando bastava anche solo una sconfitta al tie break. Però a distanza di anni, quell’avventura è qui a strapparci un sorriso!”.