Non pensavo che un colloquio che inizia dalla vincita di una Coppa Italia, potesse essere un viaggio così complesso, potesse essere costituito da squarci di vita che non possono essere dati in pasto a un pubblico con semplicità e da una voce che come quella di Davide Russo, si è levata così in alto da avermi lasciato più volte lungo il corso della chiacchierata senza le parole giuste. O addirittura senza parole. C’è una dimensione umana profonda nella storia di Davide, per la quale la vittoria di un titolo rappresenta un nuovo inizio, ma anche una scure, una bacchetta che mostra il presente bellissimo e il passato con il quale ti sei riappacificato, ma è sempre lì a ricordarti chi eri e come hai dovuto risalire la china.
Partiamo da lei.
“Partiamo da Davide, che lo scorso anno ha giocato a Tricase in serie C da schiacciatore, ed oggi è campione d’Italia”.
Come ci si sente?
“Inizierei col dire che ancora non ci credo. Non è la Final Four il momento più complesso, ma la mattina dopo, quando ti svegli e sei campione d’Italia. È lì che la mente viaggia e mi riporta a cosa sono stato, a dove sono arrivato e da dove sono ripartito. Sono stato sveglio per tre notti, perché sabato dopo la vittoria della semifinale è stata durissima prendere sonno. Domenica abbiamo festeggiato con i compagni, con i nostri meravigliosi tifosi. Lunedì notte ho pensato a tutto e ho fatto una sorta di recap, pensando alla Coppa e a quanto sono riuscito a tenerla stretta”.
Proviamo a spiegare cosa rappresenta.
“Io non ho mai vinto nulla nella mia carriera, se non alcuni premi del mini volley e un torneo provinciale. Ho militato parecchie stagioni in A3 e ho cominciato due avventure diverse con Vibo Valentia e Padova. Ma ho anche giocato in serie C come ho detto, quando ho avuto bisogno di fare un passo indietro rispetto alla mia carriera e alla pallavolo”.
Ha avuto bisogno di tornare a casa. Le stagioni con Padova e Vibo si interrompono per motivi diversi.
“Ho avuto necessità di tornare in Puglia, sono uscito dal giro della nazionale. Non imputo alcuna colpa alle società o ai compagni di squadra che nel caso di Padova ho conosciuto giusto per un mese, ma sono arrivato ad un punto in cui da quei luoghi, da quelle città, sono stato costretto ad allontanarmi per motivi personali. Mi sono rimboccato le maniche e sono ripartito. Mi creda, domenica non mi è sembrato vero di poter guardare i compagni e realizzare di aver vinto. Ho i brividi mentre siamo al telefono, perché nella mia vita pallavolistica sono arrivato a sentirmi inutile. E c’è stato un momento in cui mi sono sentito incompreso dalla maggior parte delle persone che avevo intorno”.
C’è stata Piera. Altra persona a cui lei ha dedicato la Coppa.
“Piera è la mia prima allenatrice, ed è stata per me come una seconda madre, oltre ad essere stata la mia madrina di cresima. Domenica sugli spalti non è potuta esserci, perché sta lottando con alcuni problemi di salute, ma non ha esitato a seguirmi e mi è stata molto vicino. Era come se fosse lì”.
Le chiedo un’ultima informazione. Ha sentito Agata e Camilla?
“Se parlo di loro mi commuovo. Sono le figlie di Marcella, mia sorella, e nella nostra vita hanno portato tantissima gioia e mi creda, ne avevamo tutti bisogno. Ho dedicato la vittoria anche a mio fratello Giacomo, che non è potuto essere con noi a festeggiare. In compenso c’erano mamma e papà, presentissimi come sempre”.
Perché Sorrento ha vinto la Coppa?
“Perché non c’è giorno in cui qualcuno di noi non entra in palestra e si diverte. Personalmente ho ritrovato il piacere di allenarmi ogni giorno. Stiamo vivendo un anno che io definisco magico, proprio perché in palestra si respira un’aria diversa, appunto piena di magia. Siamo riusciti a battere San Donà in finale con un seguito di persone incredibile che ha viaggiato con noi, festeggiato e sofferto assieme alla squadra. Sabato in semifinale, ci siamo tutti guardati negli occhi al quinto set, e abbiamo capito che dovevamo portare la partita a casa anche per tutte le persone che ci seguono con così tanta passione”.
Battere Bellucci in finale cosa ha significato?
“Significa ritrovare un grande amico con cui mi sento nella quotidianità e che sta facendo un percorso bellissimo in un’altra squadra. Gli auguro il meglio dal giorno in cui ci siamo conosciuti. Alla fine della gara gli ho detto che noi ci ritroveremo quest’anno, ne sono certo”.
Come la mettiamo con le prossime finali?
“Noi dobbiamo fare il triplete, lo ripeto sempre negli spogliatoi. L’entusiasmo c’è tutto!”
La pallavolo le ha un po’ rovinato e un po’ salvato la vita?
“Quando l’ho lasciata, mi sono sentito inutile. Ma certamente mi ha salvato la vita. Lo penso davvero”.
Di Roberto Zucca