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Daniele Mazzone: "Vogliamo arrivare primi, vogliamo l’oro!"

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Di Redazione

Giocare in casa davanti al proprio pubblico e alle persone care è sempre un’emozione. Lo sa bene Daniele Mazzone, che stasera scenderà in campo a Torino per la Final Six di questo Mondiale. Per il centrale azzurro, piemontese doc, è qualcosa di speciale giocare in Italia, come lui stesso ha raccontato a “La Repubblica Torino”.

Daniele Mazzone, l’obiettivo per la Nazionale era raggiungere Torino. Ora? «Come tutte le squadre a questo punto non ci stiamo ad arrivare secondi. Vogliamo arrivare primi, vogliamo l’oro. Manca da tanto tempo (1998, ndr) e sarebbe un ottimo volano per il movimento. La pallavolo ha un potenziale ancora superiore di quello espresso, gli ascolti Rai ci stanno dando ragione, l’entusiasmo intorno a noi è percepibile. Una vittoria ci darebbe ulteriore risalto».

Nato a Chieri, classe 1992, cresciuto alla Pallavolo Torino in Serie D: una lunga gavetta fino alla serie A1. Quanto è stato difficile? «Ci tengo a precisare che il mio paese non ha l’ospedale e quindi sono nato a Chieri. Ma sono di Cambiano, ci tengono i miei concittadini e ci tengo io a dirlo (ride…). Molti giocatori che militano nelle grandi squadre vengono mandati in campo e grazie al loro talento riescono a emergere. Io, grazie anche al Club Italia, ho fatto tutta la gavetta giocando in tutte le categorie tranne la serie C, che però avevo conquistato sul campo con la Pallavolo Torino. Un percorso lungo, il prossimo sarà il mio sesto campionato di A1“.

Percorso che passa dalla fase finale del mondiale in casa. Un sogno non crede? «Sono cresciuto tecnicamente in ritardo, quindi dopo aver toccato la nazionale nel 2013 non sono riuscito a dargli continuità. Per tutti ci sono alti e bassi, ogni anno poi si cresce, si acquisisce esperienza, si impara tecnicamente qualcosa in più. Oggi mi trovo qui, con la maglia azzurra e con i mondiali in casa, a Torino. Qualcosa di unico, non credo che ce ne saranno altri. Sono davvero felice».

“Nessuno è profeta in patria”. La spaventa questa frase? «Non ci ho mai pensato. Non sono uno superstizioso, non credo a un destino precostituito, giocare in casa ed essere profeta in patria può darmi una marcia in più e lo stesso alla squadra. I Mondiali in Italia sono qualcosa di speciale per tutti».

Lei e Blengini di Torino, Baranowicz di Mondovi. Giocare qui rappresenta uno stimolo o un peso? «Agli occhi di chi mi sta vicino sto già facendo qualcosa di eccezionale, pensando a quando e da dove sono partito. Non sento pressione, anzi al contrario cercare di vincere davanti alla propria famiglia, alla fidanzata che finalmente arriverà anche lei a Torino, ai miei amici al PalaAlpitour è uno stimolo».

Stasera alle 21.15, prima dell’inizio della partita, di chi cercherà lo sguardo in tribuna? «Io ho sempre paura per gli accrediti (sorride…). Nel PalaAlpitour che ospita 12 mila tifosi è complicato trovare le persone, ma ci tengo che i miei cari riescano ad entrare. Dopo la prima battuta, quando inizierà la partita, non sentirò nulla. Lo stesso succede anche nel club. Il cervello e il cuore sono rivolti alla partita».

Potesse uscire dal ritiro, dove andrebbe a cercare la concentrazione? «Più che altro stare tanto in ritiro è pesante, far le stesse cose ogni giorno, mangiare sempre pasta al pomodoro e petto di pollo. Non ce la faccio più! Vorrei stare vicino a chi amo, condividere con loro la vigilia. Tornerei a Poirino, dove ho molti amici, andrei a mangiare una bella carbonara, qualche birra e via. Mi manca la convivialità che si crea in una serata con gli amici».

Prima Mauro Berruto, poi Blengini, entrambi torinesi. C’è una scuola torinese pur non essendoci una squadra in A? «È un peccato che a Torino e in Piemonte non ci sia una squadra di Serie Al maschile. Mio fratello è capitano del Parella (la squadra da cui è partito Blengini, ndr), hanno conquistato la A2 ma non si sono iscritti per ragioni economiche. Ci sono tanti allenatori e giocatori che crescono in questa regione ma vanno via facendo la fortuna di altre squadre».

Come si fa a non far andare via i nuovi Mazzone? «Il problema è sempre lo stesso, i soldi necessari per sostenere una categoria come la Serie A. Bisognerebbe trovare un’azienda come la Fiat, disposta ad investire nel volley. Basterebbe un budget minimo per portare la serie A a Torino, non girano i soldi del calcio».

Ci racconta un aneddoto curioso dal ritiro? «Quando ho esordito nel 2013 in azzurro ero il `bocia’, il giovane. Portavo l’acqua, la roba sporca. Oggi non c’è più questo ruolo, anche perché il più giovane è Giannelli (22 enne, uno dei più forti palleggiatori al mondo), che ha abbastanza esperienza (sorride). Non sembra bello fargli portare l’acqua».

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