Di Eugenio Peralta
Le nazionali azzurre hanno già da tempo ottenuto i loro pass per Tokyo 2020, ma tra i protagonisti dei tornei di qualificazione alle Olimpiadi della scorsa settimana c’era comunque parecchia Italia. Allenatori, componenti degli staff tecnici e anche arbitri: proprio all’italiano Daniele Rapisarda, 51 anni, miglior direttore di gara di Superlega nella stagione 2017-2018, è stata affidata la direzione della finale del torneo femminile tra Turchia e Germania. E pochi giorni prima a Berlino il collega Stefano Cesare era stato il secondo arbitro della finale maschile vinta dalla Francia.
Rapisarda, che ha già arbitrato tra l’altro i Mondiali femminili del 2014 e 2018 e la World Cup 2019, è ovviamente tra i candidati a rappresentare l’Italia nel torneo a cinque cerchi. Ma di questo, per riservatezza e anche un po’ per scaramanzia, non abbiamo parlato nell’intervista che il fischietto di Udine ha concesso a Volley NEWS e che prende le mosse proprio dalla direzione della finalissima di Apeldoorn. Una gara che lo ha visto emozionato, ma non troppo: “Sicuramente è stata una grande soddisfazione – commenta l’arbitro friulano -. L’emozione un arbitro la prova prima, nel momento in cui riceve la designazione: da lì in poi si pensa soprattutto a prepararla bene, focalizzandosi sulle eventuali difficoltà tecniche e gestionali. Un po’ come un giocatore che si qualifica per una finale“.
In questo caso la partita, chiusa con un netto 3-0 dalla nazionale di Guidetti, non le ha creato particolari problemi.
“Devo dire che la Turchia, che fino a quel momento aveva faticato, ha giocato la sua miglior partita del torneo, mentre la Germania ha probabilmente sentito la pressione della finale. Ma non è mio compito dare giudizi tecnici…“.
Un parere che possiamo chiederle, invece, è quello sulla classe arbitrale italiana, sempre più premiata da designazioni importanti anche nei tornei internazionali.
“L’Italia, dal punto di vista arbitrale, è sempre stata un punto di riferimento, con una scuola solida e importante. Ciò che è cambiato negli ultimi anni è stato che il nostro regolamento si è adeguato a quello internazionale e ora non ci sono più differenze con la FIVB come avveniva in passato, anche se naturalmente si trattava soltanto di piccoli dettagli nelle interpretazioni arbitrali“.
Lei è arbitro internazionale dal 2011: oltre a quello che ci ha appena raccontato, ci sono stati altri cambiamenti?
“Sicuramente la figura dell’arbitro nell’ambito della FIVB, rispetto a un tempo, è un po’ meno ‘ingessata’: si è capito che la comunicazione è fondamentale e che un sorriso, un gesto o una spiegazione in più possono fare la differenza nel rapporto con giocatori, allenatori e squadre in generale“.
Quanto è importante, per la crescita dei direttori di gara italiani, arbitrare in un campionato come il nostro, considerato unanimemente il migliore al mondo?
“Molto, e per due aspetti differenti: da un lato abbiamo la possibilità di confrontarci con un livello altissimo e acquisire l’abitudine al tipo di gioco, ai ritmi e alla tensione agonistica dei grandi match. Dall’altro, tutti i migliori giocatori, allenatori e dirigenti del mondo seguono il campionato italiano e quindi ci conoscono, se non personalmente, almeno per averci visto arbitrare qualche partita. Questo significa che non arriviamo a dirigere le gare internazionali come sconosciuti, spesso c’è già un rapporto di stima reciproca“.
E quali sono, invece, le potenziali difficoltà nell’arbitrare all’estero?
“Sinceramente non me ne viene in mente neanche una. Con i colleghi, anche se non ci si vede spesso, ci intendiamo subito: il livello tecnico è alto e le procedure standardizzate, tutti sappiamo bene ciò che dobbiamo fare. Può esserci qualche situazione delicata, a seconda dell’importanza della gara o della piazza in cui si gioca, ma è esattamente la stessa cosa che avviene in Italia“.
La barriera linguistica non è un problema?
“Non lo è più, ormai quasi tutti gli arbitri parlano un ottimo inglese e lo stesso vale per le squadre. E poi, devo ammettere che su molti campi si parla italiano: i giocatori lo usano per rivolgersi a noi e anche per comunicare tra di loro, visto che tantissimi hanno vissuto nel nostro paese. Ad Apeldoorn, dove eravamo microfonati dalla CEV, mi è toccato rispondere in inglese a Elitsa Vasileva, che mi aveva rivolto una domanda in italiano: è rimasta sconcertata…“.
Essere arbitro internazionale è però molto impegnativo nella vita quotidiana. Come riesce a conciliare tutti gli impegni?
“Fortunatamente la mia famiglia da quel punto di vista è molto tranquilla, mia moglie tollera i miei viaggi senza storcere troppo il naso. E anche l’azienda per cui lavoro (Rapisarda si occupa di marketing e vendite per una realtà del settore chimico, n.d.r.) mi ha sempre supportato, lasciandomi grande libertà“.
Nel corso della sua carriera ha vissuto anche l’avvento del Video Check. Come vive questa fondamentale innovazione tecnologica? La considera un aiuto o in qualche modo si sente messo in discussione?
“Non ho alcun dubbio: per me l’approccio è totalmente positivo, e credo di poter dire che lo stesso valga per la stragrande maggioranza dei colleghi. Personalmente considero il Video Check come una ‘rete di sicurezza’: in caso di errore so che verrà corretto, e anche le squadre si sentono più tranquille rispetto al passato. Il fatto di poter chiedere direttamente l’aiuto della tecnologia è un altro valore aggiunto. Ovviamente si parla soprattutto di casi limite, palloni che finiscono fuori di pochi millimetri o situazioni in cui l’arbitro è coperto: sono sempre errori, ma sicuramente di minore gravità. Se poi le chiamate sbagliate diventano troppe lo si può valutare nell’arco di decine o centinaia di gare: in Italia, però, le statistiche sono molto positive“.
Un’altra novità, ormai da qualche anno, sono gli arbitri microfonati. Questo vi crea qualche difficoltà?
“Non ci condiziona nella comunicazione, però richiede una certa attenzione. Non perché ci siano chissà quali segreti o cose da nascondere: il fatto è che durante le partite spesso hai a che fare con persone – giocatori e allenatori – con cui hai una certa confidenza, e certamente tendi a rivolgerti a loro in modo diverso da come faresti con uno sconosciuto. Ecco, bisogna fare attenzione a questo aspetto, per non dare a chi ci vede da fuori la sensazione di un comportamento troppo disinvolto o poco educato“.