Di Roberto Zucca
Questa intervista ha come protagonista un enorme talento, che si chiama Earvin Ngapeth. E come complice un fratello, Swan, che ha fatto sì che questa intervista venisse alla luce, intercedendo con quel campione che solitamente appare riservato e timido quando al di fuori del campo si toccano corde come la famiglia, gli amici e gli affetti. Per capire Earvin Ngapeth e il suo mondo, un mondo fatto di contraddizioni e complessità, le radici vanno affondate nella sua musica. Sì, perché il ragazzo è al suo secondo album (Manière, uscito a gennaio) e mai come in questo l’essenza della sua vita è al centro di tutto:
“È un album pensato e scritto durante l’ultimo anno in Russia. Ci sono pezzi a cui sono molto legato, ad esempio Maman, in cui parlo di mia madre e del nostro rapporto. Anche Mafia e Rien à Peter sono pezzi scritti di getto e nei quali parlo della realtà in cui sono cresciuto a Poitiers, con i miei amici e i miei affetti. Sono pezzi introspettivi, ma anche di vita vissuta”.
Quando riesce a scrivere musica Earvin?
“In Russia ho trascorso molto tempo da solo con me stesso. La mia famiglia è spesso lontana, e mi ritrovo così ad avere molto tempo libero, che trascorro scrivendo. Mi distrae, mi rilassa, mi fa rimettere tutto nel giusto ordine. Se non avessi fatto il mio lavoro di pallavolista, la musica sarebbe stato il mio principale interesse”.
Quante certezze ci sono nella sua vita? La pallavolo è una di queste?
“Tante. Costruite nel tempo. C’è la mia famiglia, che per me è una costante. Ci sono i miei amici, che sono una seconda famiglia. Se lei viene a casa mia ad esempio, non troverà mai la mia casa con meno di sei o sette persone dentro. Da quando siamo piccoli io e Swan consideriamo questo un valore imprescindibile. La pallavolo, sì, è una certezza assoluta. E dalla mia carriera pretendo ancora tanto”.
In una intervista del 2017, definiva suo fratello il suo migliore amico. Come si supera la distanza in un rapporto così simbiotico?
“Mi manca Swan, così come so di mancargli. Ma era corretto che lui facesse la sua strada ed io la mia. E credo che abbia fatto bene ad entrambi separarci pallavolisticamente. Lui sta facendo una grande ascesa e deve continuare così anche a Vibo. Per tutto il resto c’è Internet. Manca anche ai miei figli. È uno zio presente e per loro è una grande fortuna”.
Quanto sente la Russia distante da tutto il resto, invece?
“Poco. E le dirò una cosa: sono molto contento di essere ancora a Kazan, perché un anno non è bastato a fare tutto ciò che dovevo. La Russia è un campionato e un ambiente molto diverso, fatto di una fase di adattamento alla realtà a cui ero abituato. Quest’anno abbiamo da recuperare alcuni obiettivi persi per strada nella scorsa stagione. E siamo tutti molto focalizzati sull’obiettivo”.
La squadra dello Zenit. Ha trovato i suoi punti di riferimento?
“Ho uno spirito diverso rispetto allo scorso anno. Ho molta più consapevolezza del mio ruolo e in squadra e nello spogliatoio si è creato un ottimo ambiente. Bisogna sedimentare con il tempo determinate cose. Ci vuole tempo anche per costruire uno spogliatoio”.
Con Anderson vi siete scambiati le squadre. La cosa fa sorridere.
“È un giocatore molto forte. Siamo molto diversi ed è difficile mettersi a confronto. Sicuramente a Modena troverà un ambiente che ha il potere di affascinare tutti”.
Da cosa è rimasto più colpito nei suoi anni modenesi?
“Da quel palazzetto. Immenso e unico nel farti sentire un calore che scorre nelle tue vene. Nessun palazzetto è in grado di ricreare quell’emozione nella mia testa”.
È consapevole del fatto di aver creato una ‘dipendenza da Earvin’ nei tifosi di Modena?
“È reciproca. E tutte le volte che torno a giocare lì per me è sempre un’emozione irripetibile. Modena per me è stata più di una società: una casa, una famiglia, un ricordo indelebile”.
Due persone su tutti: la presidente Pedrini e Bruno Rezende.
“Una mamma e un fratello. Catia mi ha trattato come un figlio e mi è stata accanto nei momenti migliori e in quelli peggiori. Non pensi che io non sia consapevole di aver fatto le mie cazzate. Ne sono consapevole eccome. E sono parte del mio percorso di crescita. Bruno è quello che ha raccolto tutto questo ed è stato colui che mi ha capito più di tutti. Dentro e fuori dal campo. Sono amicizie che ti porti dietro per tutta la vita. Rapporti unici e incancellabili”.
La ritrovo sereno. Negli ultimi mesi anche in nazionale c’era un Earvin diverso in campo.
“Il tempo che passa ti aiuta a maturare certezze e consapevolezze. In nazionale ho giocato la mia solita pallavolo. Voi dite estrosa. Si, forse estrosa (ride, n.d.r.) è il termine adatto”.
Quanto le piace essere spettacolare in campo?
“Io sono questo. Non potrei essere altrimenti. Credo che il nostro lavoro sia un mix di vari elementi, e far divertire coloro che pagano il biglietto è uno di questi. Io ci provo sempre”.
Qual è l’avversario con cui si esalta di più?
“Bata (Atanasijevic, n.d.r.). È una sfida bella da vedere per tutti. Ci divertiamo entrambi, perché ci piace sfidarci e ci esaltiamo in maniera simile. Avversari così ti fortificano, ti aiutano a crescere. E poi Uros Kovacevic. Che oltre ad essere un giocatore fortissimo per me è un fratello”.
L’Olimpiade. Cosa è per Earvin? E sognando, con chi vorrebbe disputare la finale?
“Un obiettivo. E dobbiamo lavorare affinché la Francia vada a Tokyo. Ci sono molte cose su cui dobbiamo lavorare, ma la volontà c’è da parte di tutti. La finale da giocare? Contro il Brasile. Perché con Uros ci dovremo già giocare l’ingresso alla pool olimpica. Una finale con Bruno sarebbe bellissima. E poi con il Brasile ho giocato le mie partite più belle, così come contro l’Italia”.