Di Redazione
Un monologo denso e toccante, volto a smorzare i toni (a tratti fin troppo) rispetto alle recenti polemiche sulle sue parole, ma senza rinnegare i concetti espressi nelle interviste e nella stessa conferenza stampa di ieri. È così che Paola Egonu ha scelto di presentarsi al pubblico del Teatro Ariston e ai milioni di spettatori del Festival di Sanremo, raccontandosi “senza filtri” e mettendo a nudo la sua fragilità. Con una risposta chiara e forte alle critiche: “Amo l’Italia e vesto con orgoglio la maglia azzurra, che per me è la più bella del mondo. Ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo paese, in cui ripongo tutte le mie speranze per il domani“.
L’opposta azzurra ha ripercorso la sua storia, ponendo l’accento sui sacrifici compiuti ma anche sulle lezioni imparate: “Per anni mi sono chiesta perché mi sentivo diversa, col tempo ho capito che questa diversità è la mia unicità, e che alla domanda ‘perché io sono io?’ c’è già la risposta: perché io sono io!“. E sul tema del razzismo ha aggiunto: “Sono stata accusata di vittimismo, di drammatizzare e non avere rispetto per il mio paese, e questo solo per aver raccontato brutte esperienze che ho vissuto, per aver mostrato le mie debolezze e le mie paure“.
Nella parte finale del suo intervento Paola ha parlato anche di sport, mostrando una capacità di autocritica finanche eccessiva (“Nella mia storia di giocatrice sono più le finali perse di quelle vinte“, un falso storico che le perdoniamo…) e concludendo con un paragone musicale, quello con Vasco Rossi, che nel 1983 proprio a Sanremo chiuse la gara al penultimo posto: “Un altro ‘non perdente’ che ci ha insegnato che dalle sconfitte più dure possono nascere i successi più grandi. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso“. Una chiusura accolta con un’ovazione dal pubblico dell’Ariston, che già l’aveva apprezzata per la sua performance da conduttrice.
Ecco il testo integrale del monologo di Egonu, che è possibile rivedere su RaiPlay:
“Uff, che emozione! Spero di trasmettervi amore ed empatia. Questa sera non sono qui a dare lezioni di vita, perché alla mia età sono più le lezioni che posso imparare di quelle che posso insegnare. Cerco di ricavare da ogni giorno un insegnamento, e così è stato anche nelle ultime settimane di avvicinamento al Festival. Spesso in passato sono stata definita ermetica, così nel tempo mi sono impegnata a raccontarmi di più, provando a ridurre al minimo lo spazio di interpretazione. Questo non ha evitato che alcune frasi venissero strappate dal contesto, tagliate e incollate in senso casuale e fiondate sui giornali come titoli usati per fare rumore. Ho imparato che ogni pensiero, una volta che si trasforma in parola e viene condiviso con qualcuno, non è più sotto il pieno controllo di chi l’ha pronunciato. Questo mi ha ricordato che dovremmo sempre risalire all’originale, ed è quello che cercherò di fare io adesso.
Io sono la prima di tre fratelli e evo tutto a mamma Eunice e papà Ambrose, sono loro che mi hanno permesso di vivere un’infanzia felice, che mi hanno sostenuta e mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi guadagnartela, senza temere i sacrifici. Mi hanno aiutata a trovare il mio percorso anche se questo ha significato per loro vedermi andare via di casa a 13 anni. Io non sono madre, ma sogno di diventarlo un giorno, e sono certa che nessun genitore sia felice che la propria figlia cresca lontano dal suo sguardo. Grazie mamma, grazie papà, perché per amore avete rinunciato a me. Le vostre carezze e le vostre attenzioni mi sono mancate e continueranno a mancarmi, ma sapevo, sapevamo e so che questa è la mia strada.
Da bambina ero fissata con i perché: ‘Perché sono alta? Perché mio nonno vive in Nigeria? Perché mi chiedono se sono italiana?’. Poi sono diventata grande e i perché sono continuati: ‘Perché mi sento diversa, perché vivo questa cosa come fosse una colpa, perché ogni volta mi sono punita dando una versione sbagliata di me stessa?’. Col tempo ho capito che questa diversità è la mia unicità, e che alla domanda ‘Perché io sono io?’ c’è già la risposta: perché io sono io! Io sono quella che quando ancora mi fanno una domanda sul razzismo mi viene da rispondere così: prendete dei bicchieri di vari colori e metteteci dentro l’acqua. Vedrete che la maggior parte delle persone sceglierà il bicchiere trasparente, solo perché il suo colore fa sembrare il contenuto più limpido. Eppure se provate a bere da uno di quei bicchieri colorati scoprirete che l’acqua abbia lo stesso gusto, fresco e vita. Perché siamo tutti uguali, oltre le apparenze. E se questo non è ancora abbastanza, in Veneto noi diremmo ‘moighera’, smettila.
Sono quella a cui lo sport ha dato tanto, ma sono anche quella che non crede che la sconfitta sia solo quando perdi una partita. Quando in campo commetto errori, anche se vinciamo, può succedere che io la viva come una sconfitta. Io gioco in attacco e il mio obiettivo è avere tra le mani la palla decisiva da schiacciare, quella che farà punto. A volte ci riesco, a volte sbaglio, e sto ancora imparando ad accettare l’errore. Perché quella palla che scotta, quella che fa paura, è il motivo per cui io di fatto sono lì. Sono quella che viene anche criticata, le critiche non sono mai mancate e non mancheranno, sono inevitabili. Alcune sono costruttive, la maggior parte gratuite, altre – e non voglio fare la vittima – sono dei veri macigni. A fatica ho imparato che sta a noi dare il giusto peso.
Sono quella che come tutti ha dovuto affrontare dei momenti brutti, ma non ha smesso per questo di godersi quelli belli. Sono stata accusata di vittimismo, di drammatizzare e non avere rispetto per il mio paese, e questo solo per aver raccontato brutte esperienze che ho vissuto, per aver mostrato le mie debolezze e le mie paure. Amo l’Italia, vesto con orgoglio la maglia azzurra, che per me è la più bella del mondo. Ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo paese, in cui ripongo tutte le mie speranze per il domani.
Sono quella che spesso ha sbagliato i momenti importanti: nella mia storia di giocatrice sono più le finali che ho perso di quelle che ho vinto. Eppure questo non fa di me una perdente, così come non è perdente chi a scuola prende il voto più basso, chi non riesce al primo colpo a realizzare il suo sogno, e visto che siamo a Sanremo, nemmeno chi arriva nelle ultime posizioni in classifica. Ve lo ricordate? Era il 1983 e Vasco Rossi arrivò penultimo, proprio su questo palco. Un altro ‘non perdente’ che ci ha insegnato che dalle sconfitte più dure possono nascere i successi più grandi. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso“.