Erica Di Maulo, sogni e speranze di una palleggiatrice italiana negli Usa

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Di Paolo Frascarolo

Sport, coraggio e crescita: la consapevolezza che lontano da casa esista un mondo di esperienze impagabili. Per questo molto spesso sentiamo parlare dell’intraprendenza dei giovani ragazzi italiani nel tentare un nuovo percorso lavorativo fuori dal nostro Paese. Diventa invece meno comune quando questa aspirazione si intreccia con lo sport, come nel caso di Erica Di Maulo, alzatrice italiana classe ’97 e studentessa da quasi due anni presso la New York Saint John’s University.

Un’avventura particolare che si divide tra il campo, ma soprattutto i banchi di scuola: negli Stati Uniti, infatti, non esiste ancora un concetto di professionismo a 360°, tanto che il massimo campionato vede come protagonisti gli studenti dei College. Ecco allora che la quotidianità di New York può conciliare entrambe le attività: un notevole percorso di crescita che non ha precluso a Erica Di Maulo il sogno di poter un giorno tornare in Italia e calcare un campo di Serie A1.

Come procede la tua esperienza sportiva statunitense?
“Mi trovo bene, l’ambiente mi piace. Diciamo che la mia vita quotidiana è routinaria: al mattino ho lezione, a cui seguono nel pomeriggio i pesi e allenamento. Qui il campionato dura solo tre mesi, e attualmente ci dedichiamo esclusivamente agli allenamenti. Avremo qualche amichevole o torneo di preparazione più avanti verso marzo…“.

Come è nata l’opportunità di giocare negli Usa?
“Durante le finali nazionali under 18 era presente la mia attuale allenatrice, che si è presentata alle premiazioni. Non sapevo per nulla come funzionasse negli States, ma ci siamo scambiati i contatti, e poco dopo ho capito che si trattasse della strada che avrei voluto intraprendere. Avevo ancora due anni di liceo, che ho concluso naturalmente in Italia, ma si è trattato di un tempo sufficiente per preparare tutta la burocrazia necessaria. Diciamo che è stato un colpo di fortuna, perchè altrimenti sarei ancora in Italia: mai avrei pensato di finire qui”.

Qual è la differenza, parlando di cultura sportiva, tra Italia e Stati Uniti?
“Qui ci si confronta con un concetto di cultura sportiva diverso perchè per poter giocare in una squadra devi obbligatoriamente frequentare l’Università e avere anche una certa media. In Italia e in Europa non c’è questa concezione: negli Usa, praticamente, lo sport e la scuola sono messi sullo stesso livello. Se un giocatore ha gli allenamenti che si sovrappongono alle lezioni, deve privilegiare queste…”.

Cosa ti ha colpito particolarmente del sistema americano?
“Sicuramente le modalità con cui organizzano i campionati sportivi. Per esempio la pallavolo e il calcio sono considerati sport autunnali e quindi il campionato femminile si snoda tra settembre e novembre, mentre la pallavolo maschile si gioca da gennaio fino ad aprile. Programmando in questo modo la stagione ci troviamo a giocare una moltitudine di partite: a volte dobbiamo disputare tre partite a settimana, magari anche importantissime, senza la possibilità di ricorrere a scusanti in caso di sconfitta. Qui giochi una volta al giorno praticamente. Questo è un aspetto che mi piace molto perché impone di essere molto impegnate, è vero, ma anche libere nei mesi successivi.”

Consiglieresti questa esperienza ad altre ragazze italiane?
“Assolutamente sì, è una esperienza unica. Quando sono arrivata ero una delle prime, poca gente era già venuta qui dall’Europa, mentre adesso vedo che tantissimi ragazzi stanno provando questa avventura, anche in altri sport come il calcio e il basket. Stiamo diventando veramente moltissimi!”.

Quali ricordi porti con te della “Scuola Bosetti”?
“I ricordi legati a essa non possono essere che positivi. Ho giocato quattro anni ad Orago. Anni pieni di emozioni e soddisfazioni come quando ho vinto lo scudetto under 16 a Chioggia nel 2013: momenti che mi hanno cambiata caratterialmente e sportivamente. Sono entrata che ero una ragazzina fragile e sono uscita dopo quattro anni come una ragazza decisa e convinta di quello che stava facendo. Gli allenamenti lì non duravano più di due ore e mezza, ma nessuno si fermava perché si era sempre in azione, con tutti che facevano sempre tutto, e nessuno che si riposava mai. Questo è anche il segreto per crescere le atlete. Sono stati quattro anni impegnativi, che però rifarei sempre”.

Cosa vuole fare Erica Di Maulo da grande?
“Erica da grande, dopo l’Università, vuole continuare a giocare a pallavolo almeno per qualche anno, non in America perchè qui non c’è una Lega professionistica. Quindi non saprei se tornare in Italia o andare in un altro campionato. Una volta concluso il mio percorso con la pallavolo mi piacerebbe lavorare con i bambini piccoli, ciò che infatti sto studiando adesso. Mi piacerebbe anche tanto viaggiare…”.

Un sogno nel cassetto?
“In questo momento non ne ho uno in particolare. Una volta terminati gli studi, tra due anni e mezzo, vorrei tornare in Italia: magari per giocare nel campionato italiano…”.

 

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