Gabriele Maruotti: "Ora posso dire di aver fatto bene a non smettere"

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Di Redazione

Dal voler smettere di giocare a pallavolo, ai Mondiali 2018. Così Gabriele Maruotti, schiacciatore azzurro, inserito nella lista dei 14 giocatore che giocherà la rassegna iridata in Italia, si è raccontato al “Corriere dello Sport”.

Strana a volte la vita. E pure lo sport. Gabriele Maruotti stava per mollare tutto, la tentazione di smettere di giocare a pallavolo era cresciuta, materializzandosi dopo l’annataccia di Perugia, tre anni fa. Ma se è vero che solo toccando il fondo si riesce a capire quanta acqua c’è sopra, si può anche riuscire a trasformare il flop in un boom.

E a 30 anni Gabriele è riuscito a coronare quel sogno che gli era sfuggito otto anni fa: far parte della Nazionale che giocherà il Mondiale casalingo, da sabato e si spera fino al 30 settembre. «C’era un’aspettativa gigantesca, per gli altri e per me stesso. Probabilmente non ero mai riuscito a rispettare ciò che ci aspettava da me e negli anni questa cosa ha cominciato a pesare. E dopo l’anno di Perugia, vissi un’estate strana. Si erano sparse voci false su di me, che se non avevo giocato c’erano dei motivi… Oltre al danno la beffa. Mi arrivò una proposta da Berlino, dissi no perché credevo che in Italia ci fosse ancora spazio per me. Invece non mi cercava nessuno. Fino a che rimase Latina, che fece la squadra dopo aver temuto di chiudere. Firmai per un anno solo, ma poi ho voluto restare altre due stagioni: non mi sentivo pronto per ripartire».

Cosa accadde lo può raccontare ora con sollievo. Ha percorso una strada simile a quella che ha trasformato in un campione lo juventino Bonucci. «Si, ora che lo so penso sia stata una storia analoga. Ero caduto in un circolo vizioso incredibile, stavo per mollare la pallavolo ma sono rinato come l’araba fenice. Mi ha agevolato il fatto che mia moglie fa la psicologa e mi indirizzò verso questa esperienza che ora mi sento di consigliare a tutti. Durante l’Olimpiade di Rio, tra il primo e il secondo anno a Latina, ho lavorato con Susanna Bianchini perché avevo sentito l’esigenza di lavorare con me stesso. Lei non è una psicologa sportiva ma lo sport era parte marginale, li c’era solo Gabriele».

E così è nato il Maruotti che ha meritato di giocare il suo primo Mondiale. «Mi sono ritrovato, ho potuto fare quello di cui avevo bisogno. In quel momento mi sono reso conto che il volley non l’avevo scelto, non avevo mai detto: ecco, questo è quello per cui vivo, prendere o lasciare. E davvero quello che voglio? Ho esplorato una parte di me e tornando a casa completavo il lavoro insieme con mia moglie. Ora posso dire di aver fatto bene a non smettere. Giocare è una mia scelta ed è una sfida, con me stesso e con tutto il mondo della pallavolo».

Ma sotto rete come era arrivato? «Sono nato a Fregene, o giochi a calcio o a pallavolo. E dato che il calcio non mi ha mai interessato… Avevo 6 anni ed ero alto. Mi ci ritrovai dentro. Ora invece per la prima volta posso dire di aver scelto e devo ammettere che a 20 anni non mi divertivo a giocare come invece mi diverto adesso».

Mondiale 2010, escluso in extremis nel ballottaggio con Zaytsev come la prese? «Beh, quando hai lavorato per cinque mesi e poi non ci vai, è sempre una pugnalata dietro la schiena. Mi è successo anche due anni fa, per l’Olimpiade di Rio, escluso all’ultimo giorno. Lì per lì pensavo che non avrei guardato le gare. Invece poi guardai tutte le partite, sia ai Mondiali 2010 che all’Olimpiade».

Come vivrà il suo primo Mondiale. «Spero di riuscire a dare il mio contributo. Abbiamo tante possibilità di far bene, dipende da come si mette, dalle occasioni che si sfruttato e da quelle che si sciupano. Se sbagli una partita sei già appeso per il collo. G sono cinque o sei squadre che puntano alla finale, ma ognuna ha qualche problema da risolvere».

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