È passata una giornata intera, e tra poche ore li rivedremo in campo a giocarsi la medaglia d’oro dei Campionati Europei, eppure addosso abbiamo ancora tutti l’odore dell’adrenalina che gli azzurri ci hanno regalato a vagonate contro la Francia. Una partita lunga solo tre set, il minimo sindacale nella pallavolo, eppure capace di stampare sul volto di chi l’ha guardata, anche da casa, un sorriso da paralisi facciale che ancora sfoggiamo senza vergogna.
Ma c’è un momento in particolare che è già nei libri di storia e che faticheremo a dimenticare: il finale di primo set con Riccardo Sbertoli a dividersi tra battuta e palleggio e Simone Giannelli a tirare su “la qualunque” da posto 6. Roba da paragoni sconci, da “doppia libidine coi fiocchi” per dirla alla Jerry Calà. Insomma, ci siamo capiti. Chi ama lo sport e la pallavolo quel momento, quelle azioni, quei punti, quelle esultanze se le ricorderà negli anni a venire.
Ma non definiamolo coniglio pescato dal cilindro, ne sminuirebbe il senso, il valore. Perché questa è una soluzione che è figlia del genio (e della memoria) di Fefè De Giorgi da una parte, da un’altra della bravura e della freddezza di Riccardo Sbertoli, ancora una volta esemplare nell’uscire dalla panchina con la lancetta del contagiri già in zona rossa, e da un’altra ancora dell’intelligenza fuori dal comune, unita alla disponibilità al sacrificio, di un immenso Simone Giannelli.
Genio e memoria, nel primo caso, perché De Giorgi, come raccontato da Andrea Zorzi, “geniale lo è sempre stato“, ma ha anche iniziato a giocare a pallavolo in un periodo storico lontano, ignorato dai suoi giocatori, che all’epoca non erano neanche nei pensieri dei loro genitori. Un periodo nel quale il doppio palleggiatore in campo si vedeva spesso e volentieri.
Arrivò anche così, ad esempio, la prima medaglia olimpica al maschile, il bronzo ai Giochi di Los Angeles del 1984. Quell’Italia allenata da Silvano Prandi utilizzava spesso il doppio palleggiatore (Vullo e Rebaudengo), soluzione che “il Professore” adottava anche con la sua squadra di club, la Robe di Kappa Torino. Non solo, sempre negli anni ’80 celebre era anche la mossa di Nino Cuco, allenatore all’epoca del Gonzaga Milano, famoso per spostare in 6 il migliore della squadra a difendere, che all’epoca era proprio il palleggiatore Francesco “Pupo” Dall’Olio.
Passando a Sbertoli, la sua prestazione in quel frangente, con la partita che viaggiava rischiosamente in equilibrio, è figlia della sua professionalità in primis, della sua encomiabile umiltà nell’accettare di vedere poco il campo quando qualcun altro, al posto suo, forse, avrebbe anche potuto far pesare uno scudetto appena vinto mettendosi di traverso. Ma non lui. Un atteggiamento tutt’altro che scontato, soprattutto in nazionale. Ma questa squadra è una squadra in cui tutti si sentono anelli della stessa catena, tessere dello stesso mosaico. “Noi, Italia” per l’appunto. Si rema tutti dalla stessa parte, si vince e si perde uniti, si corre ad abbracciare Russo e Anzani tutti insieme, sempre insieme, spontaneamente, come un corpo unico.
Così come spontaneamente, quando Sbertoli non faceva ace e la palla ritornava di qua, Giannelli era pronto a “parare” gridando al compagno di andare ad alzarla. E come se l’ha alzata Sbertoli, e come se l’hanno schiantata a terra Lavia e Romanò. Simone Giannelli… ma che fenomeno è Simone Giannelli? Non se ne parla mai abbastanza di questo ragazzo, pardon campione. Quando si parla di pallavolo e di più forti al mondo si pensa sempre a chi la palla la mette a terra, che sia un posto 2 o un posto 4, ma come si fa a non indicare lui come il migliore di tutti in circolazione?
Alzatore top a livello mondiale, sa schiacciare, sa murare, sa battere e sa pure difendere. Sulle sue giocate di seconda, poi, non ci esprimiamo proprio. Giocatore totale, giocatore dal talento “abbacinante“, come direbbe Flavio Tranquillo se giocasse a basket, giocatore di intelligenza superiore e team leader assoluto.
Insomma, quel finale di primo set sarebbe da rivedere al mattino per alzarsi di buon umore, da far vedere nelle scuole per spiegare il concetto di gioco di squadra, ma pure a chi la maglia azzurra arriva a vestirla e ha bisogno di capirne il valore. “Noi Italia”. Noi (tutti) Italia. Noi, che non ci stancheremmo mai di vederla giocare la banda (intesa come orchestra) di De Giorgi. Ma come si abbassa questa adrenalina che ancora non va via?
di Giuliano Bindoni