Grazie ragazze per averci insegnato il valore di una sconfitta

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Di Stefano Benzi

Mi sono preso qualche ora prima di scrivere queste righe e – incredibile – sarò più breve del solito. Credo sia merito della città dove sono nato e cresciuto, Genova, se ho sempre dato più valore alle sconfitte che alle vittorie. A Genova si è sempre vinto poco, pochissimo: nove scudetti ma prima del ventennio, da parte rossoblu; uno strepitoso titolo nel 1991 da parte blucerchiata. Qualcosa nel rugby, poi scomparso, nell’hockey, desaparecido anche quello, pallanuoto ma sempre fuori dal comune – da Recco a Savona.

I genovesi sono straordinari incassatori, perdenti nati: la leggenda racconta che quando Paolo Villaggio stesse progettando la sua maschera più famosa, Fantozzi, pensasse a un genovese. Il film fu ambientato in una grande città e di genovese a Fantozzi rimase qualche strascico di accento.

Ecco perché da noi la sconfitta assume tutto un altro significato: è un po’ come se in fondo ce lo aspettassimo. Siamo sempre preparati al peggio. Ma stavolta no.

È accaduto un mezzo miracolo: gli italiani se e quando perdono danno in escandescenze e cominciano a cercare colpevoli e responsabili. Al posto dei carri dei vincitori montano la forca. Magari sbaglio io ma non ho sentito una sola voce fuori da un coro che parlava di orgoglio, di grande risultato, di merito. E mi sono sorpreso. Finalmente una sconfitta ha un valore: in questo paese dove troppo spesso conta solo vincere, o far finta di avere vinto, apparire, o far finta di essere quello che non si è. Un allenatore di buon senso e quattordici giocatrici coraggiose, determinatissime, disposte a sacrificarsi al di dà delle lunghe ore di allenamento, hanno realizzato qualcosa di straordinario.

È vero, gli annali non prevedono gli asterischi: vicino a questo secondo posto non ci sarà un asterisco come a dire…. “seconde, però…”. Ma è altrettanto vero che ci sono sconfitte che valgono più di una vittoria: questa di sicuro lo è.

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