Di Stefano Benzi
Si rinnova l’appuntamento settimanale con la Hit Parade, la nostra playlist ispirata da tre storie di volley da raccontare, alcune intense e altre leggere. Tre canzoni rock da scoprire o riscoprire, per parlare di pallavolo e dei suoi protagonisti.
1 ) Vladimir Grbic ci indica la linea da superare
Dici pallavolo e dici Grbic. Le prime due generazioni hanno dominato la scena per molti anni. Prima Milos, il papà di Vladimir e Nikola che per prima cosa, quando si rese conto di avere due potenziali fuoriclasse per le mani, li mise lontani da qualsiasi potenziale concorrenza tattica. Nikola in regia e Vladi in attacco. Nikola è sposato con Stanislava e ha due figli che giocano entrambi a pallavolo: Milos e Matija. Vladimir si è sposato con Sara, una campionessa di arti marziali e di figlie ne ha avute tre: Ina, Mila e Una. E anche loro stanno avvicinandosi al mondo del volley.
Ci è piaciuta moltissimo l’iniziativa di Vladi che qualche giorno fa ha pubblicato un delicatissimo video in cui spiega la pallavolo alla figlia Ina, esattamente come suo padre Milos l’aveva spiegata a lui. “Guarda questa linea – dice Vladi – questa non è una linea normale, questa linea divide due mondi. Da una parte c’è il mondo delle persone ordinarie. Sono quelle che dicono ‘Potrei farlo anche io…’. ‘Se solo volessi, ci riuscirei anche io…’. Per loro è sempre colpa degli altri. Sono quelli per cui c’è sempre qualcuno che non ha riconosciuto il loro potenziale. Sono i cosiddetti ‘haters’. Passano tutta la vita senza sapere che, magari, hanno anche loro qualche talento nascosto…”.
Al di là di quella linea immaginaria ci siamo noi stessi: con la vita che vorremmo fare se solo decidessimo davvero di prenderla in mano. Il video di Vladi Grbic meriterebbe di essere mostrato a tutti i ragazzi che hanno le idee poco chiare: la pallavolo è solo un esempio. Ognuno deve trovare il proprio talento e il proprio spazio, qualcosa lo definisca: qualunque cosa essa sia.
Tralasciando le grandi canzoni che hanno ispirato il rapporto tra padri e figli – da “Father and Son” di Cat Stevens a “Hey Jude” composta da McCartney per Julian, il figlio di John Lennon, in crisi per la separazione dei suoi genitori – ecco un brano, come di consueto, forse non noto ai più. I White Lies, gruppo new wave inglese di Ealing, sono una realtà che meriterebbe di essere conosciuta meglio. La voce Harry McVeigh è calda e suadente, i suoni in delicato equilibrio tra elettronica e rock sono splendidi e curati.
Ogni canzone è un piccolo manifesto di vita: su tutti questa “Take it out on me”, che è una canzone nata pensando a un gruppo di ragazzi che si fanno coraggio a vicenda e dicono “provaci, appoggiati a me”. McVeigh qualche mese fa disse che questo brano parla di relazioni speciali… “ognuno ha bisogno di un mentore e il mentore per eccellenza è un genitore, un nonno. Capiremo l’importanza di quello che ci è stato insegnato quando sarà troppo tardi: e solo allora daremo un valore a quelle parole, ‘provaci, appoggiati a me’“.
Il video della canzone, girato in Messico, ha una lunghissima introduzione cinematografica, molto teatrale. Merita di essere visto tutto perché è ricco di immagini di grande ispirazione che riguardano la famiglia, l’amore, la fede.
2) Tutto comincia con un piccolo gesto
Piccoli gesti, cose semplici. A volte c’è davvero bisogno di questo per recuperare un sorriso in un momento difficile. Ci piace sottolineare il bel botta e risposta tra l’Aurispa Libellula Lecce e il Grottazzolina dopo il match di domenica scorsa. Grottazzolina strapazza le Libellule per 3-0. Ma al momento di andare a pulire gli spogliatoi gli addetti del campo trovano una sorpresa: un semplice messaggio sulla lavagna “grazie per l’ospitalità”. Potrebbe finire lì: e invece Grottazzolina pubblica tutto sui social dando ampio rilievo al messaggio degli avversari, portatori sani di un’educazione e di un rispetto che purtroppo non è cosa da dare per scontata. Nemmeno a livello giovanile. In questo la pallavolo può essere davvero uno sport differente da tutti gli altri. Bastano piccoli gesti…
I canadesi Nickelback, gente che picchia pesante, hanno scritto una delle loro più belle canzoni con “If everyone cared…”, un brano nel quale si ipotizza che chiunque con un semplice e piccolo gesto possa fare la differenza. E se la differenza fosse un buon esempio, e tutti si adeguassero, non ci sarebbero vittime, povertà e malattie. Il rock rende qualsiasi utopia un po’ meno inverosimile. Il video è toccante e ricostruisce veri episodi di cronaca che sono nati dall’iniziativa di un singolo raccogliendo la testimonianza di milioni di persone.
3) Ricezione indelebile
Ci ha molto divertito la notizia del libero dello Yenisei Krasnoyarsk, la 21enne Anastasya Pestova, che si è fatta tatuare sulla parte interna dei polsi la scritta ‘plus plus’ a testimoniare la ricezione perfetta, obiettivo di qualsiasi difensore che si rispetti. In questi anni abbiamo visto tanti tatuaggi bizzarri, alcuni molto nascosti e segreti; altri incomprensibili. Il mitico alzatore di Modena Lloy Ball si era fatto tatuare il codice a barre del suo indirizzo di casa sul braccio. Palloni, numeri, draghi e teste di leone stilizzate compaiono su polpacci, braccia e spalle dei nostri fuoriclasse. Bandiere nazionali stilizzate, coppe, date… il repertorio è immenso.
Il tatuaggio non è per tutti, ma è affascinante, e dietro ogni disegno c’è una storia che non sempre va raccontata: perché ogni tatuaggio nasconde sempre un segreto, che raramente chi lo ha scelto vorrà condividere.
Quale occasione migliore per festeggiare i Van Halen? Il rimo singolo del loro ultimo album “A different kind of Truth”, pubblicato nel 2011 quando la band tornò con il cantante degli esordio, David Lee Roth, fu proprio “Tattoo”. La canzone ha una storia bizzarra: nacque con un altro testo nel 1977, ma alla band non piaceva e al bizzoso David Lee Roth non piaceva cantarla. La rispolverarono 35 anni dopo ma senza alcun testo.
La leggenda racconta che Eddie Van Halen, scomparso poche settimane fa dopo una lunga malattia, e David Lee Roth non si parlassero e non avessero alcun desiderio di suonare o provare insieme. In definitiva si detestavano. Al punto che Lee Roth si presentò in studio per cantare “Tattoo” senza avere nemmeno scritto le parole, limitandosi a borbottare qui e là qualche sillaba. Da una di queste allitterazioni – “ta-too, ta-too” – è nato il testo che viene attribuito alla band ma che pare sia stato scritto da Wolfgang, il figlio di Eddie Van Halen, autore di gran parte del falsetto della canzone.
Il video la dice lunga: con un montaggio slo-mo roll-on roll-off (avanti e indietro) gli autori hanno chiaramente nascosto che gran parte della canzone è stata improvvisata in studio perché David Lee Roth non aveva nemmeno voluto impararne le parole. Eppure, nonostante questo, la band è andata in tour per un anno e mezzo: ovviamente ignorandosi, sul palco e fuori.