Di Redazione
In occasione del 55esimo compleanno di Angelo Lorenzetti, il Corriere del Trentino pubblica oggi una lunga e interessante intervista di Erica Ferro al coach dell’Itas Trentino. L’esordio dell’allenatore fanese è una considerazione filosofica sull’età: “Ci sono due punti nella retta della vita che sono sicuri, uno è quello della nascita e l’altro quello della morte. Ogni tanto fissare il punto in cui ci si trova è un esercizio utile: si realizza che la parte di retta precedente è superiore a quella che rimane, e ci si rende vulnerabili alla finitezza dell’uomo“.
Tornando alla pallavolo, Lorenzetti traccia un bilancio dei suoi primi tre anni sulla panchina di Trento: “A livello personale e professionale, molto positivo. L’unico rammarico riguarda la difficoltà di riuscire a costruire, in questo momento, un progetto veramente stabile. Nel mio secondo anno qualche errore l’abbiamo commesso nel cambiare una squadra che aveva fatto il massimo nell’annata precedente. Ora in Superlega è il momento di Perugia e Civitanova, due piazze che stanno investendo molto: per non rassegnarsi a vederle vincere una programmazione è necessaria, ma nella pallavolo è complicata, non solo per questioni di bilancio ma anche di mercato, perché con questi procuratori è difficile costruire la squadra che si vorrebbe. L’anno appena terminato, tuttavia, penso possa essere stato un buon inizio; spero di avere la forza, con la società, di dargli continuità“.
Infine un passaggio sui sogni nel cassetto: “Mi piacerebbe, prima che la mia storia finisca, giocare un’altra finale scudetto con Trento. Il secondo desiderio credo che sia ormai impraticabile, ma non si sa mai nella vita: vorrei allenare alle Olimpiadi. Sogno, infine, che il movimento della pallavolo possa produrre qualcosa di nuovo, che prima di tutti riesca a far vedere che gli sport ‘minori’ anche nella responsabilità sociale sono in grado di trovare altre strade. Il modello anglosassone in questo senso può insegnare molto. Oggi tanti ragazzi magari smettono di studiare perché giocano in A2: ma se non si arriva proprio nelle prime squadre, non è il modo idoneo per calarsi nella vita reale. Allenamenti, tante ore perse, studi abbandonati: diventa un arrabattarsi a trovare la sopravvivenza per l’anno successivo. Se questo è ciò che produce la pallavolo, penso che dovremmo farci delle domande“.