Di Redazione
Luca Vettori si congeda da Trento e dall’Itas Trentino con un saluto che, come nel suo stile, è anche una riflessione filosofica sul tema del respiro, un concetto collegato alla montagna, ma anche alla pandemia di coronavirus e al recente incidente stradale che lo ha coinvolto. “In montagna, come noto, si comincia a respirare – scrive Vettori sulla sua pagina Facebook –. E potrebbe capitare di scoprire che non si è mai imparato davvero nel proprio modo. Lo si scopre tendenzialmente lungo il sentiero, arrancando, imprecando e misurando il proprio desiderio di arrivare in vetta. Da quando sono arrivato a Trento ho in effetti iniziato a prendere dimestichezza con il respiro“.
“Trento è una città profonda – continua l’opposto – dentro una valle profonda: il suo è un respiro lungo. Ogni tanto si riemerge sulla cima dei monti, ogni tanto si resta in basso, sul fondale, indicando le vette di cui s’imparano i nomi, indovinando il corso del sole. Quello che Trento mi ha donato è stata la vertigine di un’aria indimenticabile – una consapevolezza nuova e segreta: il respiro di chi crede nella propria forza e nella propria autonomia. Con gli altri è più bello, ma anche da soli si può. Il Mio respiro.
Mi torna in mente che nel 2018 in Trentino (e non solo) c’è stata una tempesta: un vento spaventoso ha spazzato via interi boschi, sradicando e rivoltando la geografia di quei luoghi. La tempesta di Vaia. Ricordo quel pomeriggio di ottobre. Un vento caldo, malsano, irrequieto muoveva le chiome davanti alle finestre della mia abitazione a Trento. Per qualche istante ho avuto paura. E similmente in questa primavera un’aria molesta, (qualcuno l’ha chiamata abilmente mal’aria) sotto forma di virus sottile, ci ha resi immobili, ha tolto non poca speranza, ha dato qualche nuovo pretesto, ha imposto il vuoto tra i corpi. E ci ha rubato il respiro, lo ha proibito.
Il percorso di lavoro iniziato a Trento non ha trovato la sua fine. Non ho salutato i miei compagni di squadra. Non abbiamo avuto un ultimo giorno. L’aria molesta ci ha privati dell’ultimo saluto, di un ultimo fiato urlato insieme. Del nostro ultimo respiro insieme. E fortuna che ho imparato a vivere la preziosità del presente. Perché il nostro presente insieme è stato grandioso. Con l’arrivo del lockdown e delle sue fasi, il fiato è rimasto spaesato – senza paese. Dubbi, sogni, promesse lasciati in sospeso.
E proprio come quando qualcosa finisce ed altro ricomincia, questa era la settimana d’intercapedine. La settimana della cucitura. Il respiro profondo che entra. Pausa. Esce. E invece l’incidente. Imprevedibile come una tempesta. Quindi posso dire, oggi – per un soffio. Per un soffio qui, a scrivere con la mano sinistra, a rispondere a chi mi incoraggia. A rassicurare chi si preoccupa: non è grave, sarò un po’ dolorante, ma presto di nuovo in sesto. E non solo. Sono qui per un soffio, ovvero per farlo. Per un soffio. Perché questo soffio che ho imparato – mi vuole“.
(fonte: Facebook Luca Vettori)