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Julio Velasco e l’emergenza attuale: “Gli sportivi devono essere guida e punta di diamante nel giocare e vincere questa partita”

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Di Redazione

Uomo di sport e di grande cultura pallavolistica, Julio Velasco in questi giorni si è messo a disposizione, impartendo lezioni attraverso dei video, sui vari fondamentali del volley da mettere in pratica nelle proprie abitazioni in questo periodo di emergenza coronavirus. E proprio su questa situazione particolare che non solo l’Italia sta vivendo in questi giorni, l’ex ct azzurro, intervistato da Roberto Condio sulla Gazzetta di Modena, sprona i giocatori a “combattere” contro i propri limiti e ad essere un esempio per vincere questa partita.

Velasco, l’uomo si ritrova senza sport e non era mai successo. Può accrescere la sensazione di emergenza? «Di mai vissuta, purtroppo, c’è la situazione generale. Sembra un film. La avvicino all’inizio di una stagione della Nazionale: entusiasmo a mille nel seguire le consegne nella prima settimana, qualche flessione nella seconda, dalla terza diventa decisivo tenere duro e solo chi ci riesce arriva in fondo. Il difficile, insomma, comincia adesso».

Oltretutto, rinunciando allo sport. «Ma è importante continuare a farlo, anche a casa. Fosse solo perché produce endorfine, che sono un anti-depressivo. Aiutano a stare meglio».

L’attività di vertice, però, si è fermata. «Lo sport perde la sua funzione. Come musica e arte, è spettacolo che diverte, svaga, fa pensare meno ai problemi. Magari ci farà riflettere su altro, adesso».

Tipo? «A quante volte ci siamo lamentati per nulla e di quel poco che ci manca. Spero che questo “allenamento” ci faccia apprezzare di più il tanto e il bello che abbiamo, ci renda più forti ed orgogliosi».

“Andrà tutto bene”, diciamo tutti. D’accordo? «Va bene solo dirlo ai bambini. Agli adulti dev’essere chiaro che saremo solo noi a farlo andare bene. C’è ancora qualche fenomeno in giro, c’è un focolaio di negazionismo che persiste».

Intanto, l’atleta a casa si ritrova solo, perde il senso del gruppo. Anche dell’agonismo? «Quello no. Adesso è tutti contro il virus. Con gli sportivi che, abituati come sono, devono essere guida e punta di diamante nel giocare e vincere questa partita».

Come si fa? «Sviluppando l’agonismo contro i propri limiti. Paure, noie e abitudini da cambiare che siano. Combatterli tirandoli fuori da noi, mettendogli una maglietta diversa dalla nostra. E giocandoci contro per batterli».

Anche qui: consigli? «Fare cose diverse. Leggere, sentire musica, vedere film, chiacchierare di più. In generale usando bene il tanto tempo a disposizione. Per gli atleti, ad esempio, potrebbe essere l’ora di prepararsi al momenti in cui smetteranno. È un argomento delicato, non c’è mai tempo per fermarsi e affrontarlo. Ora si può. Magari imparando l’inglese, studiando computer o cucina, coltivando un hobby trascurato».

E, da uomo di sport, a Tokyo 2020 riesce a pensare? «Ci sono due problemi oggettivi: qualificazioni ancora da fare e data dei Giochi abbastanza vicina. Sarebbe il simbolo tangibile di una vittoria parziale, ovviamente tenendo come obiettivo prioritario la salute di tutti. Se mi dicessero ora di ripartire ad aprile non lo troverei serio, se fosse giugno potrei crederci. Per lo sportivo, ma anche per l’uomo in genere, è molto difficile fare una corsa senza un traguardo concreto».

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