Kathryn Plummer, la gigante predestinata: "Non vedo l’ora di arrivare in Europa"

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Di A.G.

Se al mondo esiste qualcosa in grado di fermarla su un campo di pallavolo, venga fuori adesso o per il prossimo decennio non c’è storia. Stiamo parlando di Kathryn Plummer, campionessa predestinata, che con quattro stagioni straordinarie a Stanford si è presa tutte le attenzioni del mondo, arrivando ad essere definita come il prospetto statunitense più atteso dai tempi di Logan Tom.

È alta 2 metri e un centimetro, può attaccare la palla fino a 3,30 metri d’altezza e già questo potrebbe bastare a definire la sua unicità, ma a renderla unica è la capacità di eludere il muro. Non importa la qualità della ricezione, la velocità dell’alzata, la posizione da cui attacca, né la possibilità di eseguire o meno la rincorsa: il risultato è quasi sempre un attacco vincente che passa sopra o al fianco del muro con angoli indifendibili. L’immagine della “lavatrice” – coniata anni addietro dal giornalista Alessandro Antinelli – che fa i buchi nella metà campo avversaria, per quanto inflazionata, aiuta a fotografare la portata dei suoi colpi, acuiti ulteriormente dalla costanza della potenza espressa.

L’hype generato intorno a Plummer sembra ampiamente giustificato, sia per quello che ha dimostrato in NCAA – e gli ultimi play off sono l’ennesima conferma – sia per i margini di crescita che paiono ancora tanti e in grado di prendere direzioni molto diverse. Nell’attesa che scriva il suo futuro, vi portiamo alla scoperta di questa gigante californiana pronta a impattare sulla pallavolo europea come un meteorite che sbriciola la materia con cui viene a contatto.

Partiamo dalla vittoria del titolo NCAA con Stanford. Quali emozioni ha provato a sollevare questo trofeo per la terza volta?

“Questa vittoria resterà un ricordo indelebile, ho provato una gioia immensa: sono contenta di aver raggiunto un obiettivo così importante insieme a un gruppo fantastico, e soprattutto con prestazioni che hanno esaltato lo spirito di sacrificio e la voglia di vincere di ognuna di noi. Allo stesso tempo, però, sono un po’ triste, perché la finale era anche la mia ultima partita con la maglia di Stanford”.

Quali sono stati i punti di forza che vi hanno permesso di vincere contro Wisconsin?

Abbiamo dimostrato di essere una squadra estremamente unita ed organizzata, che è riuscita a gestire al meglio un match ricco di emotività, giocando con qualità e mostrando tanta determinazione. Il servizio ha veramente messo in crisi le nostre avversarie e la ricezione è stata molto efficiente; penso che questi fondamentali abbiano fatto la differenza”.

È stata nominata “Most Outstanding Player of the Tournament”. Come giudica la sua ultima stagione in NCAA?

Il bilancio è certamente positivo. Ho saltato gran parte della stagione per via di un infortunio, ma quando sono tornata, sapevo di avere qualcosa da dimostrare. Era la mia ultima stagione nel campionato universitario, quindi volevo fortemente lasciare il segno e fare del mio meglio”.

Quanto è stata importante l’esperienza a Stanford per la sua carriera?

Giocare a Stanford è stato un sogno diventato realtà. Credo di essere stata molto fortunata a trascorrere quattro anni in un college così importante, dove ho preso una laurea e vinto tre campionati nazionali. Sarò sempre grata agli allenatori e alle compagne di squadra che mi hanno aiutato a crescere e diventare la persona e la giocatrice che sono oggi”.

A che età ha scoperto il suo talento per la pallavolo? E quando ha iniziato a giocare in banda?

Ho iniziato a giocare a pallavolo quando avevo 10 anni, anche se non ho mai fatto la differenza fino a 12 anni. All’inizio praticavo questo sport solo per divertimento, non pensavo ad altro. Nel mio percorso ho ricoperto diversi ruoli, tra cui anche quello di opposto, ma dall’anno scorso gioco solo in banda e mi trovo molto bene”.

A chi si ispira per il suo ruolo?

Il mio modello è Karch Kiraly, di cui ho sempre ammirato la tecnica e il carisma. Sogno di diventare la prima donna a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi sia nell’indoor che nel Beach Volley, e diventare una leggenda di sabbia e taraflex proprio come lui. Questo mi spinge a dare il massimo ogni giorno in palestra”.

Quindi in futuro continuerà a giocare anche a Beach Volley?

Non gioco sulla sabbia da poco più di un anno, visto che nell’ultimo periodo mi sono concentrata solo sull’indoor. Comunque, mi piace moltissimo il Beach Volley e spero di riprendere presto a giocare”.

Quali sono i suoi progetti per la prima stagione da professionista?

Ho intenzione di lavorare duramente, imparare il più possibile e mostrare tutto il mio talento. Cercherò anche di abituarmi a vivere in un nuovo contesto, lontano dagli USA. Non vedo l’ora di iniziare la mia prima avventura in Europa e scendere in campo insieme alle nuove compagne”.

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