Roma Volley Club

La bolla di Valeria Papa: il Cavaleiro Negro

DATA PUBBLICAZIONE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti
SHARE
SHARE
TEMPO DI LETTURA
più di 5 minuti

Di Redazione

Altro appuntamento scritto con la capitana di Roma, Valeria Papa.

Quando giocavo in Brasile non ero più solo Valeria, ero “L’Italiana”. Ogni volta che mi sentivo chiamare così con la mente tornavo a casa ed ero orgogliosa del fatto che la mia persona fosse in questo modo identificata col mio paese. Con me era venuto mio marito, romano de Roma, per il quale Roma è Roma, a parte il dettaglio di essere tifoso del Milan, e la scelta del primo è l’eterna lotta tra carbonara e gricia. Chi lo conosce sa quanto sia smielato nei miei confronti, tanto che la sua risposta classica alle mie lamentele nei suoi confronti è: «Chi sono io?». Sono una romana acquisita ormai e la risposta per me è quasi inflazionata («sto caxxo!!!»). Quello che in realtà intende in questo caso è che lui è il «cavaliere nero e al cavaliere nero…», la conclusione sono sicura che la conoscete tutti. Quando entrava in confidenza con amici brasiliani si lanciava, con una certa frequenza, nel divertente e a tratti un po’ patetico, tentativo di raccontare e spiegare la morale che c’è dietro a quella storia. L’ostacolo principale che ogni volta cercava di superare, almeno in parte, era ovviamente di tipo linguistico: il suo romano mixato con una lingua indefinita, che secondo lui doveva essere una sorta di portoghese, il tutto amalgamato dal nostro tipico gesticolare da italiani (per chi fosse interessato diversi sono i video che testimoniano questo altissimo livello comunicativo).

La fine dell’aneddoto è che ovviamente nessuno ha mai capito assolutamente nulla di quello che lui voleva dire, nonostante l’ammirevole perseveranza. Al millesimo tentativo siamo giunti alla comprensione giusto delle basi, ovvero che «um cavaleiro negro, matou um cavaleiro branco e depois matous os filhos do cavaleiro branco». I problemi maggiori, come potete facilmente prevedere sorgevano sempre sul gran finale: «ar cavaliere nero non je devi cacà er cazzo!». Sarei infinitamente grata se qualcuno fosse in grado di tradurlo in un portoghese che faccia scaturire anche solo un accenno di risata, giusto per dare almeno una mezza gioia al nostro povero migliore amico brasiliano che, con tanta pazienza, cercava di comprenderlo. Mio marito e io siamo molto fieri del nostro essere italiani e vivendo per molti mesi in un paese straniero lo siamo diventati ancora di più, pur avendo lasciato in Brasile un pezzo di cuore. Cercare di spiegare quella storia era per lui un modo di raccontare una parte della sua cultura e allo stesso tempo di se stesso perché Gigi Proietti resterà inciso indelebilmente nel tessuto sociale e culturale del nostro paese così come è stato, anche se in maniera differente, parte delle vite di ognuno di noi.

CONDIVIDI SUI SOCIAL

Facebook

ULTIMI

ARTICOLI