La ricetta di Bruno: "Si diventa campioni con il lavoro e la passione"

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Di Roberto Zucca

Per capire colui che è diventato, ovvero il palleggiatore più forte del mondo, bisogna partire forse da quel bambino che ha iniziato a muovere i primi passi a Rio de Janeiro. E quei primi passi, Bruno Mossa De Rezende, per tutti Bruninho, li ha mossi sentendosi impegnato in un’eterna sfida con il mondo:

Che fosse la pallavolo, una partita ai videogames o qualsiasi altra cosa, non c’era niente in cui non amavo entrare in competizione (ride, n.d.r.). La sconfitta non era contemplata, e ho imparato ad affrontarla col tempo, quando ho iniziato a convivere con l’idea che nonostante qualche volta avessi perso, avevo dato tutto quello che avevo sul campo”.

È così che si diventa il numero uno del mondo?

Si diventa dei buoni atleti con due ingredienti: lavoro e passione. Con l’impegno quotidiano fatto dai sacrifici, dalle rinunce, dal crederci. E dalla passione nel fare quello che fai, calibrando le energie e diventando un punto di riferimento”.

Due atleti che l’hanno vissuta la descrivono esattamente con le parole che lei ha appena utilizzato. Simone Anzani ha detto che è rimasto profondamente colpito dallo zelo con cui lavora.

Non sa quanto il riconoscimento di un compagno, in questo caso un amico, mi faccia piacere. Sono uno che non si stanca mai di fare il suo, forse perché non mi sono mai sentito appagato sul lavoro, ho sempre voluto alzare la mia asticella personale. E tutto questo è possibile solo se il lavoro che fai prima di emergere lo continui a fare con costanza. E impegno. Altrimenti ti bruci e vanifichi il lavoro nel tempo”.

Earvin Ngapeth, invece, dice che è difficile non dare il 300% con lei in campo.

Quella è passione. È l’istinto del guerriero che ha Earvin, che per me è un fratello. E con cui ho giocato una pallavolo che ricordo sempre con enorme piacere”.

Lei ha detto che un regista ragiona per sei in campo. Come si fa?

Devi imparare a scegliere. Ogni palla. Ogni gesto. Ogni punto. Devi essere nella testa di ogni tuo compagno e fare sì che ciò che lui ha nella testa si trasformi nella stessa idea che hai nella tua. Devi essere empatico e avere quella sensibilità che ti permette di guidare i compagni con le tue scelte”.

Guiderà anche Civitanova in Coppa Italia. Sensazioni?

Ci stiamo preparando e sarà importante affrontare quel momento con la testa non di chi ha fatto tanto in stagione, ma di chi farà più degli altri in questo weekend. Abbiamo fatto un buon percorso fino ad oggi sia in campionato che in Champions. Ma la Coppa è un evento a sé. Riazzera tutto”.

Si aspettava l’escalation di Civitanova? Diciassette vittorie su diciannove partite in campionato.

Sapevamo che potevamo fare bene. Adesso abbiamo recuperato appieno anche Leal e sono molto felice per lui perché sta facendo un’ottima stagione. In generale c’erano dei nuovi innesti, da Anzani a Kamil (Rychlicki, n.d.r.), ad esempio. La squadra ha girato bene sin da subito. C’è stato un bel lavoro da parte di tutti”.

Le hanno mai detto che la sua storia e il suo percorso sono molto simili a quelli di Rafa Nadal?

 Ho letto il suo libro tanti anni fa, sui suoi esordi. In generale leggo molto e le biografie degli sportivi mi piacciono parecchio. Qualcosa di lui mi ha ricordato qualcosa di me. È vero, la passione e il lavoro sono due cose che vedo anche in Nadal”.

Quando vedremo la sua biografia?

Mi hanno chiesto di scriverla. Chissà, magari sarà l’anno in cui deciderò di buttare giù qualche pensiero…”.

 

 

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Stephen Maar tra passato, futuro, famiglia (si sposa) e Trento: “L’avversaria peggiore, ma…”

Sale in Zucca

Prendi un ragazzo di 22 anni che arriva in Italia, a Padova, direttamente dal Canada. Capisci subito che ha un’energia speciale, fatta più di quello che non è ancora, ma che saltuariamente ti mostra in campo, che di quello che poi sarà il suo vissuto negli anni successivi. Questo ragazzo fa un percorso, articolato tra alcune delle piazze più importanti della Superlega, parliamo di Verona, Milano, Cisterna. Arriva a Monza, gioca dei playoff meravigliosi e una finale Scudetto contro pronostico, tra esplosioni di gioia, rabbia agonistica, palloni che pensi possano saltare per aria e un tormento interiore, che è la sua cifra. 

L’arrivo a Piacenza di Stephen Maar è forse l’ultima fase di questa evoluzione complessa, durata otto anni (per la parentesi russa alla Dinamo Mosca ci arriviamo) e nella quale lo schiacciatore oggi tira qualche somma, un po’ perché a trent’anni tutto appare più chiaro, tutto prende una forma diversa, e forse perché si è pronti per essere ciò che veramente si vuole essere da grandi, con o senza la pallavolo davanti:

“Ho trovato la mia tranquillità, il mio mondo. Per tanti anni sono andato avanti, girando il mondo e vivendo anni molto intensamente. Per la prima volta quest’anno la mia famiglia avrà la priorità rispetto a tutto e in estate voglio spendere un po’ di tempo assieme a loro”.

 
 
 
 
 
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Ha annunciato il matrimonio con la sua compagna Molly Lohman, pallavolista, solo qualche settimana fa. Vi sposerete in Italia?

“Le ho chiesto di sposarci in un pomeriggio sul Lago di Garda. Ma per ora non abbiamo i dettagli precisi anche perché dobbiamo incrociare le agende e i programmi. Adesso che mi fa pensare, sarebbe proprio bello se ci sposassimo in Italia (ride n.d.r.)”.

Anche perché l’Italia è stata la sua fortuna Maar. Ma anche per noi averla nel campionato italiano.

“Un bel viaggio, lungo otto stagioni, che comprende anche la mia parentesi russa. Ho giocato in tantissime città e ho considerato casa ogni luogo in cui sono stato. Ognuno di quei luoghi mi ha lasciato qualcosa, dalle persone, alle esperienze”.

Quella che ricorda per un motivo particolare?

“Credo Cisterna. È stato un anno molto particolare, dopo Milano e prima della proposta di Monza, dove poi ho trascorso tre anni della mia vita. Era un contesto molto piccolo, una città molto vivibile e una squadra capitanata da Fabio Soli e da uno staff, ricordo su tutti Gioele Rosellini, con cui ho lavorato molto bene. La pallavolo era seguitissima ed è stata la prima volta in Italia in cui le persone con cui avevo a che fare nella quotidianità, parlo magari del panettiere o dei ragazzi o ragazze che trovavo al supermercato, poi le ritrovavo sugli spalti a tifare la domenica”.

Si ricorda il Maar di Padova invece? Arrivato con tante novità a Padova? 

“Ricordo una squadra completamente nuova, che fece un inizio di campionato incredibile. Peccato perché poi ci siamo persi durante l’anno. Ma ripeto, la casa per me è ovunque in Italia”.

Ora la casa è Piacenza. Un anno che è stato letteralmente una montagna russa.

“Un anno in cui questo weekend cominceremo un importante semifinale contro Trento, e a cui teniamo davvero molto”.

Dall’arrivo di Travica, Piacenza sembra avere una luce nuova.

“Ogni cambio porta con sé uno scossone, o meglio, una reazione. Il periodo di difficoltà precedente ci ha fatto riflettere e c’è stata come pensavo e dicevo una reazione da parte di tutti. Ora tutti ci crediamo un po’ di più. Certo, Trento è l’avversaria che nessuno vorrebbe ritrovare in semifinale, anche perché è stata la migliore della regular season. Io ora non penso più a chi mi ritroverò di fronte, ma a come lo affronterò”.

foto Gas Sales Bluenergy Piacenza

La affronterà, mi permetto di dire in una condizione mentale diversa.

“Cosa intende?”

La rivedo in campo con una serenità che non conoscevo.

“Sì, è un bel momento della mia vita”.

Stephen Maar pensava di arrivare fino a qui quando studiava alla McMaster University?

“Non pensavo di avere fino a qui. Ho tanta gratitudine per tutti coloro che mi hanno permesso di fare un percorso, la mia strada. Ho studiato, ho aperto la mente a tutto ciò che mi è stato insegnato e ritrovarmi oggi a questo punto mi rende davvero orgoglioso”.

Di Roberto Zucca