Di Stefano Benzi & Paolo Frascarolo
In poco più di un’ora, ieri, la Bunge Ravenna ha sbrigato la pratica Gentofte nell’andata dei sedicesimi di finale di Challenge Cup disputata in Danimarca. Una squadra quella danese nella quale milita anche un giocatore italiano, il libero titolare Fabio Moret, giocatore nato nel La Piave, che da tempo ha scelto una vita e una carriera all’estero portandolo alla soddisfazione di vincere il titolo danese.
Una bellissima storia: lasciare l’Italia, per un’altra realtà, ma continuare il proprio percorso sportivo. Abbiamo voluto intervistarlo, ma guai a parlare di professionismo:
“Professionista è una parola che mi fa sempre sorridere. Qui in Danimarca si gioca solo per passione”
Che ci fa un giocatore italiano in Danimarca: com’è nata questa scelta?
“Questa scelta é nata da un progetto di doppia laurea magistrale con l’Universitá di Padova. Dopo il primo anno di master, sono stato selezionato per un progetto che ha finanziato i miei primi due anni presso l’Universitá Tecnica di Danimarca nella periferia di Copenhagen. Una volta laureato mi é stato proposto un dottorato che ho iniziato a Maggio di quest’anno”.
Il livello del volley nei paesi medio piccoli è cresciuto sensibilmente negli ultimi anni, lo percepisce dalla sua realtà?
“In Danimarca il movimento pallavolistico non ha molta tradizione (la stagione scorsa siamo stati la prima squadra danese in Champions League negli ultimi 20 anni). Alla mia terza stagione nel campionato danese si riesce a percepire un leggero aumento di livello soprattutto tra le squadre di alta classifica, ma l’impossibilitá di essere professionisti limita lo sviluppo sia dei giocatori che delle societá”.
Stando alle statistiche la Danimarca è uno dei paesi più sociali ed evoluti d’Europa, qualità della vita altissima. È vero anche per lei?
“Assolutamente sí. La qualitá della vita é estremamente alta, servizi efficienti e praticamente zero criminalitá. Ovviamente il tutto é frutto di livelli di tassazione alti ma anche di una cultura, quella danese, basata sul rispetto e fiducia, in qualsiasi ambito: professionale, privato, civico, ecc”.
Gioca solo a pallavolo o ha una vita professionale e familiare normale?
“La mia agenda é abbastanza piena: ho appena iniziato un dottorato in design di futuri mercati elettrici. Oltre ad un lavoro full-time, ci alleniamo 4-5 volte a settimana e seguo un corso di danese. In piú ovviamente vita sociale e personale”.
Esiste la nostalgia dell’Italia per un giocatore di pallavolo che, anche se in un ambiente meno performante, gioca al massimo delle sue potenzialità?
“La nostalgia ovviamente c’é. L’Italia resta comunque il paese dove sono cresciuto e dove ci sono famigliari e amici. A livello pallavolistico, onestamente le opportunitá che sto avendo con Gentofte (competizioni europee) non le avrei in Italia se non con squadre in cui non avrei la possibiltá di giocare. Detto questo, mi manca forse la tradizione dietro il movimento pallavolistico italiano, qui alla fine é quasi un hobby giocare, sebbene il tempo speso tra allenamenti e partite é non indifferente”.