Di Redazione
In occasione della visita al liceo Lagrange di Milano, abbiamo intervistato la campionessa di sitting volley, Sabina Fornetti, accompagnata dall’allenatore ed ex giocatore della Nazionale Liano Petrelli.
Chi è Sabina Fornetti in poche parole?
“Sono Sabina, abito a Saluzzo, in provincia di Cuneo, lavoro come segretaria al corso di Tecniche Erboristiche all’Università degli Studi di Torino. Il mio lavoro mi permette di rimanere a contatto con i giovani tutti i giorni. Sono sempre stata una persona molto intraprendente e dinamica, mi sono sempre tenuta attiva a partire dagli scout, passando dai viaggi, il nuoto, la subacquea e dagli ultimi tre anni di sitting volley“.
Prima di lanciarti nel mondo del sitting volley, ti interessava già la pallavolo?
“Sì, perchè a scuola ho sempre avuto degli insegnanti che non mi hanno mai tenuta da parte: ho sempre fatto attività sportiva con i miei compagni. Facevamo tornei di pallamano, pallacanestro e anche pallavolo. Andavo anche a Cuneo a vedere le partite della serie A!”.
Come è avvenuto l’avvicinamento al sitting volley?
“Mi è sempre piaciuto come sport. All’inizio praticavo nuoto, sport individuale in cui si cerca di darsi degli obiettivi e di superarli. Mi mancava conoscere il contesto degli sport di squadra, di condivisione di vittorie e sconfitte, di sacrificio comune. Sono venuta a conoscenza della possibilità di praticare questo sport al Centro Protesi Vigoroso di Budrio, dove allo sportello del Comitato Italiano Paralimpico ho chiesto alla segretaria di mettermi in contatto con qualche società di sitting volley. Tramite il delegato provinciale del CIP ho conosciuto Liano Petrelli. Ho iniziato con lui ad allenarmi costantemente ogni giorno e di lì a poco è partito il cammino con la nazionale.Un giorno sono stata inserita in un gruppo Whatsapp in cui si diceva: “Se sei in questo gruppo è perchè stiamo organizzando la squadra nazionale di sitting volley”, è stato tutto un po’ casuale e improvviso“.
Se però sei stata contattata dalla nazionale è perchè da subito eri portata per praticare questo sport.
“Può darsi (ride, ndr), forse hanno cercato di contattare più persone possibili per assicurarsi l’interesse di più atleti”.
Due domande: che emozioni ti trasmette questo sport? E come mai c’è così poca conoscenza sul territorio di questa disciplina?
“Il sitting volley mi dà tantissimo. Sono nata con una malformazione degli arti inferiori; già da quando ero piccola ero abituata a spostarmi in casa senza l’uso delle gambe. Allo stesso tempo facevo nuoto senza l’aiuto di particolari attrezzature o mezzi di sostegno. Con il sitting volley mi sento davvero a mio agio nel muovermi liberamente per il campo. Per quanto riguarda il suo radicamento nel territorio, si stanno facendo passi avanti, la stagione passata si sono tenuti i Campionati Italiani e quest’anno si rifaranno ancora“.
Sei stata presso il Liceo Lagrange a descrivere la tua attività agli studenti, ti piace raccontare la tua esperienza ai giovani?
“Sì, mi piace molto perchè credo che trasmettendo le proprie esperienze ai più giovani sono convinta che si possano condividere valori importanti”.
Quanto è importante lo sport per rimettersi in gioco?
“Come dicevo ai ragazzi del liceo Lagrange, dal momento in cui si scende in campo si annulla la disabilità per cercare di arrivare a un obiettivo comune. Il centro del gioco non è più il disabile, ma è il gesto sportivo atto a raggiungere una meta”.
Quindi lo sport è in grado di abbattere molte barriere.
“Certamente ed è importante, soprattutto in un paese come il nostro, organizzare molte più attività di questo genere. Parlando per esperienza personale, ogni settimana durante i miei allenamenti di sitting volley tre o quattro ragazze dell’Under 12 del Volley Saluzzo vengono a fare i miei stessi esercizi sul campo. La prima volta quando sono entrata con la carrozzina in palestra, ho visto le ragazzine che mi guardavano incuriosite e un po’ perplesse, così come i loro genitori quando sono venuti a prenderle a fine giornata. Ma dalla volta successiva, vedendo il tipo di allenamento che conducevo, non saltava più all’occhio la mia carrozzina o la mia disabilità, ma la mia abilità nel tenere una seduta pratica sul campo. Concludendo, condividere assieme ai ragazzi la propria condizione è estremamente importante per accrescere in loro la consapevolezza in vista del futuro della società”.
Quanto è importante il concetto di collaborazione in campo nel sitting volley?
“E’ fondamentale perchè in campo ci sono diversi tipi di disabilità e bisogna collaborare per aiutare nel migliore dei modi il proprio compagno. Nella mia squadra, il Fenera Chieri, io sono l’unica disabile, gli altri compagni sono ex giocatori di pallavolo o semplici appassionati , ma in campo se io posso aver problemi di ricezione, loro hanno difficoltà negli spostamenti o in altri fondamentali quindi ci completiamo a vicenda”.
Cosa vuoi fare da grande?
“Vorrei avere una sicurezza lavorativa che mi permetta di coltivare le mie diverse passioni. Vorrei riuscire a programmare dei viaggi o delle altre attività. In futuro poi, perchè no, vorrei continuare a trasmettere ai giovani valori importanti, magari proprio con il sitting volley, anche se ora come ora voglio continuare a divertirmi in campo come giocatrice”.