Le verità di Paolo Tofoli: l’esonero, le differenze tra Italia ed estero, e il futuro

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Di Paolo Cozzi

Il campionato di serie A è stato il suo palcoscenico per 20 anni, dove con le sue alzate precise e il suo comportamento da gran signore si è imposto come “il Palleggiatore” per eccellenza, simbolo di quella Generazione di Fenomeni che tanto lustro ha portato al volley italiano. Finalmente quest’anno la Superlega ha potuto riabbracciare Paolo Tofoli nella sua nuova veste di coach. Per lui, dopo la breve ma importante esperienza nel femminile con Pesaro e qualche anno di “gavetta” in società giovani come Brolo che ha salvato al loro primo anno in A2, Tuscania dove ha dato il via ad un bel progetto sempre in A2, Siena dove ha vinto la Coppa Italia e Alessano, la prima panchina in Superlega è stata quella di Castellana Grotte, ma dopo un girone di andata con buone partite ma pochi risultati prima di Natale è stato esonerato.

Allora Paolo, intanto come va? C’è possibilità di rivederti presto su una panchina?
“C’è tanto dispiacere, ora sono a casa a Fano e aspetto una chiamata, non è facile a stagione in corso: o vai all’estero o in Italia è difficile trovare spazio. Ero molto contento di essere riuscito ad entrare in Superlega, dove c’è un clan molto ristretto di allenatori. Dovrò riconquistarmi piano piano la fiducia, ma non c’ problema, mi piacciono le sfide”. 

In Italia c’è sempre la sensazione che si guardi subito al breve e meno ad una crescita della squadra e dell’ambiente, cosa che invece succede maggiormente all’estero. Ti vedresti su una panchina straniera come tanti tuoi colleghi?
“Mi dispiace perché Castellana era un treno importante e l’ho perso anche se sapevamo che la salvezza sarebbe stata dura da conquistare. Ci sono pecche mie, ma avessimo avuto un po’ più di fortuna con il calendario, dove tutti gli scontri diretti li abbiamo avuti fuori casa, avremmo potuto giocarcela diversamente. All’estero sicuramente l’allenatore è più considerato, ha un ruolo più centrale nella struttura societaria e viene ascoltato di più, mentre in Italia sono ancora troppo le persone che vogliono metterci bocca”.

Hai un esempio pratico?
“Penso a Bernardi, fu esonerato da Padova e dopo tre anni in Polonia è tornato alla grande! Fuori dall’Italia hai la possibilità di fare progetti strutturati su 2-3 anni, in Italia ormai si fanno anche contratti di un solo anno. Si allena sempre con una spada sopra la testa. Così non puoi mai lanciare giovani, rischiare alcune cose perché hai paura di essere stoppato alle prime difficoltà”.

Ti dimostri un Signore, lasciamelo dire. Io qualche problema lo identifico anche con Renan…
“La squadra l’ho fatta io insieme al DS Bruno De Mori, su di lui confidavamo tanto, ma ha reso sotto le aspettative. Molto falloso, spesso era assente nelle parti calde dei set, cosa che toglieva tranquillità alla squadra e al palleggiatore. I presupposti per provare a fare bene c’erano tutti, il campo dice la sua, è li che esce la verità. Purtroppo è andata male anche se abbiamo fatto tremare squadre come Modena”. 

Un peccato perché comunque hai dimostrato di trasmettere l’atteggiamento giusto ai tuoi ragazzi, non avete mai subito 3-0 secchi, avete sempre lottato e avete portato al tie break le prime della classe….
“E questo aumenta il rammarico, perché abbiamo fatto sempre il nostro, con una squadra con un quinto del budget di alcune compagini. Ci è mancato il giocatore che mettesse la palla in cassaforte, che desse tranquillità. Abbiamo perso dei set dove eravamo avanti per errori banali. Ci è mancato un po’ un leader”. 

Paolo Tofoli l’allenatore preferisce allenare squadre di giovani, da costruire e far crescere, o una di esperti, da gestire e tenere a bada?
“A me piace far giocare bene la squadra, che sia composta da giovani o da gente esperta, le problematiche le trovi in tutte e due le tipologie, anche perché avere tanti galli nel pollaio non è mai facile, però cerco sempre di adeguarmi alla squadra che ho, il ruolo dell’allenatore è far esprimere al massimo la squadra con i giocatori che ha. L’allenatore deve sapersi adattare ad ogni contesto, deve cambiare in base alle risorse umane che ha a disposizione, deve saper sfruttare al meglio il potenziale di ogni giocatore e farlo rendere al 100%. Ognuno deve essere preso in una certa maniera e portato al massimo delle sue possibilità”.

Hai giocato contro tutte le quattro big. Come le hai viste da avversario? Quali possono essere i loro punti deboli?
“Perugia sicuramente la ricezione. Poi sono molto forti in attacco e battuta, dove fanno paura, mentre a muro stanno nella media, non sono uno squadrone invalicabile. Ma in ricezione, se trovano una squadra che batte bene ed è chirurgica li possono mettere in difficoltà, perché è vero che Leon passa sopra, ma giocare tutta una partita palla alta non è facile.
Modena non ha bande fortissime con Zaytzev che spesso è chiamato a fare la differenza. Urnaut molto bravo sulle palle sporche ma manca un’alternativa a Ivan di palla alta…forse Bednorz, vedremo. E’ una squadra buona che gioca bene, ha un buon equilibrio ma paga un po’ in ricezione e nel gioco di palla alta.
Trento sa giocar bene, Angelo li fa giocare da vera squadra, sono bravi e composti a muro, ordinati sui muri a 3. E’ molto equilibrata, con cambi importanti dove c’è qualche giocatore altalenante come Vettori. In banda sono ben assortiti con Russell picchiatore da palla alta e Kovacevic più tecnico e leader della squadra.
Civitanova sembra un assemblaggio di All Stars, adesso sarà compito di Fefè unirli e farli giocare come squadra. Punto debole, forse, la ricezione con Leal che fatica e che tutti pizzicano con costanza, ma anche loro in attacco sono molto forti”.

Chi ti ha colpito fra i giocatori quest’anno?
“Sicuramente fra tutti questi Big il giocatore che più mi ha impressionato in questo inizio di campionato è Kovacevic, giocatore completo che sa fare tutto, alterna battute di tutti i tipi, ha tutti i colpi in attacco, paga un po’ a muro e ricezione ma fra Grebennikov e Russell è ben protetto. Mi è piaciuto molto anche Marouf, palleggiatore di Siena, bravo e con due ottime mani”. 

Ok, allora parlando di palleggiatori, quali sono secondo te le caratteristiche che deve avere un buon interprete del ruolo?
“Per prima cosa il palleggiatore deve saper palleggiare preciso, mettere i suoi schiacciatori nelle migliori condizioni per attaccare, poi pensare in un secondo tempo a smarcare e a fare finte. Ci sono palleggiatori che cercano di smarcare a tutti i costi e mandano al macello gli schiacciatori! Non deve mai perdere la testa, continuare a osservare come gioca il muro avversario per batterlo. Deve essere anche uno psicologo, capire i propri compagni, il loro modo di reagire nelle diverse situazioni di stress. E’ importante sapere a chi dare la palla in determinati momenti caldi. E ricordiamoci che un palleggiatore raggiunge l’apice della sua maturità intorno ai 30 anni, con 10 anni di esperienza alle spalle”.

E’ notizia recente che la Federazione serba ha nominato due ex giocatori vicepresidenti federali. Qual è la tua opinione al riguardo?
“Io penso sia una cosa molto utile: inserire giocatori che hanno fatto la storia è importante perché rappresentano la Federazione al meglio. Un manager, pur bravo che sia, non avrà mai l’appeal di chi le vittorie le ha ottenute sul campo. Certo magari all’inizio si sarà meno preparati, ma poi si studia, si impara, si lavora per migliorare e piano piano diventa un’ottima esperienza, un qualcosa in più”.

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