Ci sono bastati un paio di capoversi per capire che con “Mia – Come sono diventato lo Zar, fra pallavolo e beach volley, amore e guerre“, l’autobiografia che Ivan Zaytsev ha scritto a quattro mani con Marco Pastonesi, ci eravamo imbattuti in un libro a suo modo complesso.
Ora, che Zaytsev avesse un mondo (variegato, seducente, anche “croccante”, scanzonato, controcorrente) non ci ha certo colti impreparati…
Quello che ci ha colpito è stata la trasparenza, la sagacia, la sincerità (talvolta, fin troppa… soprattutto, in qualche aneddoto dedicato ai compagni di avventura) con cui il silenzioso e spesso introverso Ivan ha deciso di raccontarsi in queste pagine.
Chiariamo subito: se state cercando un libro in cui scoprire i segreti intimi o le playlist da fanzine dello Zar ne rimarrete delusi. Nelle 280 pagine di racconto (edito da Rizzoli), c’è spazio sì e no per qualche scheda che oggigiorno vanno tanto di moda, ma molto è dedicato alla narrazione degli anni che hanno portato Zaytsev a trasformarsi da atleta prodigio, figlio di un padre spesso anche scomodo, ad indiscusso protagonista delle cronache pallavolistiche di questi ultimi anni.
E altrettanto spazio (da addetti ai lavori, diciamo anche… finalmente!) è dedicato proprio alla pallavolo e non ad una semplice operazione di taglia e cuci della vita privata di un atleta.
La complessità sta proprio in questo punto: qual è stata la “forza centripeta” che ha permesso una trasformazione così radicale, in cui, il ruolo di un padre (il campione del mondo Vjačeslav Zaytsev) è stato così determinante sin dagli esordi?
La risposta, si può azzardare, sta forse nel senso di ribellione dell’Ivan dei primi tempi, quello di Latina dai capelli viola, quello del “lascio tutto e vivo solo di beach volley”, fino alla fase più matura, l’ingresso nella sua vita della moglie Ashling, e la dedizione definitiva alla pallavolo, fino alla conquista di un argento pesante e alla consacrazione alle Olimpiadi di Rio dello scorso anno.
L’effetto “best seller”, così, è presto sortito. In genere, quando un libro riesce a ottenere un simile risultato contiene una di queste quattro domande: chi è l’assassino? Il protagonista troverà sé stesso? Ma alla fine si sposeranno? Chi dei due vincerà? Bene. Il libro di Ivan Zaytsev contiene tre risposte su quattro, e le intreccia molto bene: le possibilità di sottrarsi alla trappola sono pari a zero.
Adesso, chi l’ha letto tutto d’un fiato, sa che lo Zar vive esattamente così come gioca a pallavolo: cioè, con i piedi ben dentro al campo, immaginando tutto a una velocità irragionevole, quella delle sue “lavatrici (cit.)” e collezionando attimi di vita irrazionale ed esperienze altrettanto folli. Intanto che tutto questo scorre, Ivan cerca un senso alla sua vita.
Set dopo set, stagione dopo stagione, volano le domande e le risposte sulla vita stessa, schizzando sul parquet dei pensieri, e alla fine quella a cui assisti è un’unica, grande, affascinante partita giocata da un ragazzo contro il “buco nero” che si porta dentro: che poi è la stessa partita che giochiamo tutti, lo si voglia o no…
Tutto sommato, l’unica cosa del libro che ci è spiaciuta è il finale. Che non c’è…
E se avessimo la possibilità di cambiare quel finale che non c’è, lo dedicheremmo al senso della vita che ha trovato. Vorremmo, forse, che da grande avesse il coraggio di fare scelte altrettanto irrazionali, tipo riprendere il beach volley, o, magari, non aprire un banale ristorante di pesce come sogna di fare. Da lui ci aspettiamo altro.
Un colpo di scena.
Se invece potessimo fargli una domanda sul libro gli potremmo chiedere: ma tu vorresti davvero diventare un leader?
Perché l’idea è che il suo senso della vita sia proprio questo: non voglio essere niente, ma tutto. Voglio essere bianco e nero. Pallavolista e beacher. Angelo e diavolo. Titolare e riserva. Vincitore e sconfitto. Leggere vivamente per credere.