Di Paolo Frascarolo
Il volley giovanile e l’educazione allo sport: la formazione di atleti che non siano semplici “macchine”, ma uomini e donne in grado di fare dello sport una palestra di formazione per la vita. E’ in questo lungo percorso che si colloca l’importanza di creare la giusta empatia con i giovani atleti.
Per questa ragione abbiamo voluto dedicare l’intervista della settimana a Liano Petrelli, allenatore riconosciuto e affermato nell’immaginario collettivo del volley per le grandi doti tecniche e umane.
Petrelli, attualmente alla guida della Serie B del Consorzio Vero Volley, ha iniziato la sua carriera da allenatore dopo un grande passato da giocatore, con 2 Coppe Italia, 2 Coppe delle Coppe e 1 Supercoppa Europea. Nel 2000-2001 inizia a sedere in panchina con la Noicom Alpitour Cuneo in Serie A1 come assistente allenatore, insieme a Mario Di Pietro, di Ferdinando De Giorgi fino alla stagione successiva 2001-2002, con cui conquista una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe.
Nel 2002 un’importante decisione: dedicarsi ai campioni del futuro, accettando l’incarico di responsabile del settore giovanile maschile della Bre Banca Cuneo. Oltre a lanciare giocatori del calibro di Parodi, Martino, Baranowicz, Botto, Rossi, Barone, Alletti e Galliani, conquista, in due stagioni, uno Scudetto U17, uno Scudetto U20 e uno Scudetto U18. Un percorso strepitoso che prosegue con due promozioni consecutive dalla Serie B2 alla Serie B1 (2004-2006). A partire dal 2006-2007 arrivano altri grandi soddisfazioni con i giovani: uno Scudetto U18, uno Scudetto U16 e un altro Scudetto U16 nella stagione 2007-2008.
La stagione 2009-2010 coincide con il passaggio in Nazionale giovanile dove, alla guida della selezione Juniores, conquista il settimo posto al Campionato Europeo 2010 in Bielorussia. Nel 2011-2012 approda a Fossano, dove ricopre lo stesso ruolo che lo aveva messo in evidenza a Cuneo, ovvero allenatore e responsabile tecnico. Nel cuneese rimane fino all’ultima stagione, ottenendo una promozione dalla B2 alla B1 nel 2014-2015.
Qual è il primo obiettivo che un allenatore deve porsi?
“Il piacere di vedere crescere una squadra sia dal punto di vista tecnico che fisico e mentale. E la crescita passa attraverso gli atleti e il gioco con le sue molteplici sfumature. La pallavolo di oggi manca di creatività e fantasia con allenamenti troppo meccanici. Importante è trovare una strada, cercando sempre soluzioni per risolvere le difficoltà individuali e di squadra”.
Quando parla di meccanicità dell’allenamento si riferisce al gesto tecnico?
“Prendo come riferimento la macchina spara palloni, bellissima, funzionale e anche allenante, ma che non esprime la realtà del gioco. Utile perché permette di risparmiare un elevato sforzo fisico alla spalla, puntando però solo alla ripetizione di specifiche traiettorie. Il miglioramento del bagher richiede anche molto altro”.
Quali sono le difficoltà per un allenatore moderno?
“Confrontarsi con la realtà attuale. Mi piace prendere l’esempio delle trasferte in pullman e degli spogliatoi post partita, dove trovi atleti isolati con cuffie e telefonini. Bisogna essere in grado di appassionarli ad un gioco con incredibili valori di condivisione e senso di appartenenza. Si possono trovare delle soddisfazioni che vanno oltre il risultato”
Cosa è invece mutato a livello tecnico?
“Il Rally Point System ha aumentato l’esigenza tecnica nella gestione dell’errore, che si paga ovviamente di più. Troppo importante un grande controllo del pallone. I giovani in generale sbagliano troppo ma l’errore e il gioco ci spingono a svilupparci. Non dico che è un diritto sbagliare ma ci siamo passati tutti ”
E’ una problematica risolvibile con una programmazione differente?
“A livello di progressione è importante insistere sul controllo della palla sia nel bagher che nel palleggio ma soprattutto per quando riguarda l’attacco e il colpo sulla palla. Penso alla pallavolo come uno sport di attacco dove il palleggio e il bagher sono “solo” un assist per il gol! Come lavorare allora? Insistiamo di più sugli aspetti che entusiasmano i giovani, come l’attacco e la difesa in quanto gesti spettacolari. Non si possono motivare i maschi facendo ore di palleggio e bagher”.
Come definisce la pallavolo giovanile attuale?
Sappiamo bene che si hanno difficoltà nel reclutamento a livello maschile ma a maggior ragione dobbiamo essere ancora più bravi con quelli che abbiamo. Rispetto a tante altre nazioni abbiamo pur sempre un ottimo bacino ma ne perdiamo ancora troppi. Quelli forti e con spiccate capacità prima o poi vengono fuori ma quello che manca è la produzione dei cosiddetti “gregari” quelli che fanno il lavoro nero e che sono fondamentali in ogni squadra.
Perché i ragazzi passano sempre meno tempo in palestra?
“Come dicevo prima vengono per giocare a pallavolo e allora facciamoli giocare sviluppandoli con situazioni sintetiche e globali. Le tecniche, le abilità e le capacità di gioco sono da insegnare con il piacere di stare in campo. Ora per gli allenatori oltre che essere tecnicamente preparati occorre essere anche grandi motivatori e psicologi e non smettere mai di sentirli.
Occorre essere ancora più bravi nel coinvolgerli, quasi degli animatori sportivi. La chiave è creare un gruppo che poi faccia da traino. Vivere insieme tempra il gruppo, che condivide così tanti momenti con effetti straordinari anche in campo. Si creano così esperienze indelebili che rimangono per sempre
Parliamo di categorie più “mature”: come mai si preferiscono i giocatori stranieri a quelli italiani?
“Nel campionato di A2 ci sono molti giovani ma la SuperLega è diventata selettiva con tanti stranieri. Credo che ci siano italiani con ottimi mezzi, ma vengono spesso usati per completare le rose come comprimari e si vedono poi pochi panchinari che diventano titolari la stagione successiva. In questo senso devo dire che Trento in questi ultimi anni ha lavorato molto bene prendendo il testimone giovanile della Sisley e della “mia” Cuneo. Lavorare sui giovani ci permette di guardare più in la nel futuro”.
Come procede la sua esperienza al Vero Volley?
“Qui c’è un Presidente che guarda molto al futuro, e quindi c’è molta possibilità di crescere. Mi trovo molto bene, ed è inevitabile quando c’è una forte condivisione di intenti. Ci sono tanti obiettivi da raggiungere come è normale che sia in un settore giovanile ma è bello vedere dei ragazzi crescere gratificati e felici di quello che fanno. Poi di entusiasmo e passione non ne manca ”.
Cosa vuole fare da grande?
“Liano Petrelli vuole continuare a togliersi delle soddisfazioni. E vedere in prima squadra al Gi Group Team ragazzi passati dal settore giovanile sarò un motivo di orgoglio. Poi mai mettersi dei limiti… quelli di solito ce li mettono gli altri!”