Di Redazione
A pochi giorni dall’annuncio della scelta di abbandonare il volley giocato, Lucia Bacchi racconta la sua lunga e fortunata carriera in una bella intervista a Matteo Ferrari per La Provincia. Dagli esordi (“prima andavo a cavallo, ma ho capito subito di dover fare uno sport di movimento per sfogare la mia iperattività e sono passata all’atletica. Lì mi ha visto l’allenatore di volley Carlo Lodi Rizzini“) alla prima chiamata di San Giorgio Mantovano: “Da lì ho iniziato a capire che per arrivare dove volevo avrei dovuto fare una vita estremamente disciplinata, ma anche che da semplice passione la pallavolo stava diventando qualcosa di più“.
Nessun rimpianto per la schiacciatrice reduce dall’ennesimo successo, la promozione con la Megabox Vallefoglia: “Se mi guardo indietro credo di aver vinto davvero tanto per quelle che erano le mie possibilità. Tutte le volte che vedo nel mio palmares due Champions League mi viene ancora la pelle d’oca. Ho fatto diverse promozioni, la Supercoppa, mi sono dedicata al Beach Volley e ho vinto uno scudetto anche lì: ho ottenuto tanti successi che mi hanno ampiamente ripagato degli sforzi che ho fatto“.
Il futuro per Bacchi è ancora un enigma: “Non ho mai avuto un piano B. Da quando ho preso le mie cose e lasciato casa per la pallavolo, non mi sono mai posta il problema, e anche ora non so dire cosa farò da ‘grande’. Sto lavorando nel servizio di spesa online di un supermercato di Ravenna, ho fatto anche la bagnina d’estate, tra una stagione e l’altra. Diciamo che ferma non ci so stare, quindi qualcosa faccio e farò sempre, ma non saprei dare un contorno preciso a quello che vorrò fare in futuro“.
La giocatrice di Casalmaggiore dice la sua anche sul caso di Lara Lugli e, più in generale, sulla riforma del lavoro sportivo: “Siamo professioniste o dilettanti in base a quello che serve agli altri, e questa è una situazione che non è sostenibile per chi fa di questo sport la propria professione. Giocare in Serie A significa fare due allenamenti al giorno, affrontare trasferte impegnative che occupano il fine settimana, di fatto non lascia margine per fare altro. Se non è professionismo, o quantomeno lavoro questo, non so cosa possa esserlo“.