Di Redazione
Altro appuntamento in casa capitolina, dalla penna di Andrea Ceccarelli. Dopo aver parlato di Sport, Volley ed E Sport l’argomento trattato sono gli abbracci.
Gli abbracci sono gesti empatici, spesso spontanei e a volte risolutori.
Non tutti amano gli abbracci, ci sono persone che li considerano un’invasione della sfera intima, sia emozionale che fisica.
Esistono campagne di solidarietà umana basate sull’abbraccio ed esistono emoticons per gli smartphone che li rappresentano, Facebook l’ha aggiunta tra le opzioni di commento rapido a un post e alcuni usiamo chiudere dei messaggi con le parole “un abbraccio”, anche se solo virtuale. Ci sono persino i biscotti.
Si possono trovare tante classificazioni dei tipi di abbraccio e ne esistono diverse interpretazioni.
Per esempio, quello a un braccio è sovente definito sfuggente, quello a ponte, distaccato, quello al bacino, disarmato, quello da dietro, protettivo, quello guardandosi negli occhi, intenso, quello lungo, profondo, quello forte, protettivo, energico, avvolgente, esistono persino quello gelido o quello a orso e così via.
Se pensiamo poi che il primo abbraccio vero, appena venuti al mondo, è quello della mamma che ci da calore, ci fa sentire il suo odore, i suoi battiti cardiaci, il suo amore, proteggendoci e rassicurandoci, forse comprendiamo ancor di più perché questo gesto possa veramente acquisire un significato molto importante.
Tutti (quelli a cui piacciono gli abbracci) abbiamo avuto momenti in cui avremmo necessitato dare o ricevere un abbraccio per sentire il calore di qualcuno che ci vuole bene, per sentire protezione, per trasmettere solidarietà, per far sentire anche fisicamente una vicinanza, per irradiare o ricevere forza, per percepire l’amore, per piangere sulla spalla dell’altro, per condividere una gioia.
Nello sport, nel volley, gli abbracci sono parte del percorso individuale e di squadra.
Da quello iniziale, corale, che la squadra si dà ascoltando le ultime istruzioni del coach prima di scendere in campo, a quelli irruenti, adrenalinici, dopo un muro o un punto, ancor più forti se quel punto è stato costruito in due o sofferto, lavorato, giocato da tutta la squadra.
Gli abbracci allegri, saltellanti e vocianti dopo le vittorie o quelli consolatori dopo una sconfitta, si assomigliano un po’ tutti, indipendentemente che avvengano in partite delle Olimpiadi, della serie A o del giovanile.
Gli abbracci avvengono anche prima o dopo la partita con le avversarie che spesso hanno condiviso un pezzo di strada, nel giovanile o in nazionale, o con cui si è giocato insieme in un’altra squadra, ritrovandosi ora contrapposte in gara.
Gli abbracci con i familiari, quei nonni, quelle mamme o quei papà, sempre lì, a caricare adrenalina ad ogni azione senza poterla sfogare, con un occhio alla figlia e uno alla squadra perché, alla fine, sono tutte un po’ figlie meritevoli di affetto e sostegno.
Gli abbracci con fidanzati o fidanzate, che per un attimo spengono la luce della partita, riportando la fiamma dell’amore al primo posto.
Gli abbracci agli amici, normalmente più chiassosi, e, per quelle più generose, anche gli abbracci di gratitudine e saluto con i tifosi.
Gli abbracci, quelli che ci mancano, oggi più che mai.
Gli abbracci che oggi, da protocollo, sono da evitare tra squadre opposte e con il pubblico, che, secondo gli esperti, sarebbero, preferibilmente, da evitare anche tra compagne di squadra.
Gli abbracci che vorremmo dare a chi è lontano, che avrebbero voluto dare i famigliari a chi se n’è andato da solo in una sala di terapia intensiva dell’ospedale.
Gli abbracci che, a volte, in questi tempi difficili, abbiamo imparato a dare o a farci bastare in modo virtuale, nelle chiamate in videoconferenza o, parlandoci a distanza, dietro le mascherine o al telefono.
Gli abbracci, un giorno torneranno e sarà tutta un’altra vita.
(Fonte: comunicato stampa)