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Mamme atlete: il racconto di Carli Lloyd e l’esempio di Nike

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Di Alessandro Garotta

Il caso di Lara Lugli ha riportato al centro del dibattito, ormai da due settimane, il tema delle atlete in gravidanza e dei loro diritti, troppo spesso trascurati e calpestati. L’eco della vicenda è stata talmente ampia da raggiungere gli Stati Uniti e spingere anche Carli Lloyd a tornare, a sei mesi dall’annuncio della propria gravidanza, sulla sua storia personale, raccontandola per la prima volta in un post sul suo blog. “Quando parliamo di celebrare e supportare le donne, e di cambiare le cose per le generazioni future – scrive l’ex palleggiatrice della VBC Èpiù Casalmaggioresono le situazioni come la mia che dovremmo sperare di cancellare“.

Ho scoperto di essere incinta la domenica, giorno di allenamento – racconta Lloyd – e ho subito chiamato il mio agente per avvisarlo, poi lo staff e la società. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta, ma tutto dentro di me sembrava così sbagliato. Mi è stato detto che avevo 24 ore di tempo per parlarne alla mia famiglia e poi il club avrebbe pubblicato un annuncio ufficiale, così dopo poche ore tutta la comunità della pallavolo mondiale conosceva la situazione, e a causa del Covid né Riley né nessun altro della mia famiglia poteva raggiungermi per starmi vicino“.

I giorni successivi sono stati una centrifuga, anche per via di quello che è stato scritto sui social network: voci che dicevano che non ero stata professionale, che avevo fatto qualcosa di terribile alla società. E da lì è nata una battaglia, con altre atlete che hanno preso le mie parti: a loro sono grata, perché in quel momento non avevo la capacità di rispondere, stavo ancora provando a rendermi conto di quello che mi era successo. Sono fortunata perché le mie compagne di squadra mi hanno aiutato e il mio presidente ha espresso il suo supporto; eppure, le cose continuavano a sembrare sbagliate. Quando ho saputo che il mio contratto sarebbe stato risolto e non sarei nemmeno stata pagata per le settimane di allenamento già completate, mi sono sentita sconfitta. Era come essere punita per qualcosa che dovrebbe essere il più grande dono che possiamo ricevere“.

È stato difficile – conclude Lloyd – nel mondo di oggi una donna deve ancora combattere per l’uguaglianza. C’è ancora tanto da fare per rendere la protezione delle donne e del loro corpo una priorità. Ora che vedo il mondo da una nuova prospettiva, ammiro e rispetto sempre di più le donne che riescono a coniugare la loro carriera con il ruolo di madre. (…) Chi è al potere deve capire che sostenere le donne e i loro bambini è di assoluta importanza. Devono vedere che c’è un modo migliore per supportarci e dimostrarci che concepire e mettere al mondo una nuova vita e importante, che non è un peso o qualcosa di cui vergognarsi. Deve esserci un modo migliore“.

Parole come sempre forti e sentite quelle dell’alzatrice americana, che pochi giorni dopo ha espresso il suo sostegno alla causa di Lara Lugli, aggiungendo: “Tutte le nostre storie possono fare la differenza. Anche se io non ne ho parlato sei mesi fa, lo hanno fatto altre atlete allora e fino a oggi, e possiamo vedere i progressi che sono stati fatti“.

Un esempio del cambio di atteggiamento nei confronti dello sport femminile lo ha fornito il brand sportivo per eccellenza, che ha raggiunto una nuova consapevolezza, ma dopo una battuta d’arresto non esattamente degna del suo successo. Il marchio Nike ha infatti presentato la prima linea di indumenti sportivi dedicata esclusivamente alla maternità, pre e post partum, nominata per l’appunto “Nike (M)”. Sviluppata in collaborazione con Jane Wake, esperta di esercizio fisico nelle fasi precedenti e successive alla gravidanza, la collezione “Nike (M)” è stata introdotta da un video di presentazione realizzato con estrema cura e attenzione nel corso dell’ultimo anno di pandemia.

Riassunto di ben ventidue ore di riprese effettuate in maniera amatoriale da amici e familiari, le protagoniste del progetto “The Toughest Athletes” sono una selezione di più di venti donne, madri e atlete che celebrano e mostrano apertamente il loro percorso di maternità. Da Serena Williams ad Alex Morgan, il filmato onora la professionalità di queste atlete e intende sradicare i pregiudizi e i preconcetti che circondano la gravidanza e i suoi effetti sulla fisicità della donna. Il trailer è d’impatto, emozionante, potente nella rappresentazione della diversità e dell’uguaglianza, ma un montaggio d’effetto è in realtà ben distante dall’essere un traguardo, bensì solo una tappa sicuramente fondamentale in un percorso che è ancora in via di sviluppo. Questo perché un bel video dalle buone intenzioni non può far dimenticare come si è giunti alla sua realizzazione.

https://www.youtube.com/watch?v=_-5MGkUwe6w&feature=emb_title

Era solo il 2019 infatti quando proprio la Nike decurtò al 70% il guadagno da contratto della pluripremiata velocista Allyson Felix in seguito alla sua prima gravidanza. Se Felix aveva compiuto un decisivo passo in avanti nel suo percorso di crescita capendo di non dover più scegliere tra essere atleta e diventare madre, Nike ne aveva compiuto invece uno indietro a quando si credeva che lo sport agonistico potesse pregiudicare la fisicità femminile impostata per la procreazione. Infatti, la campionessa si ritrovò costretta ad affrontare il netto rifiuto del suo sponsor di rinegoziare i termini dell’accordo, e non le venne concessa neanche la possibilità di dimostrare di poter tornare ad eccellere anche dopo il parto.

Abbandonando così la speranza di convincere a parole, dopo aver interrotto i rapporti con la Nike e essersi unita al marchio Athleta, a dieci mesi dalla nascita della sua primogenita, Felix conquistò il suo dodicesimo oro mondiale, superando il record di Usain Bolt e affermando così la sua identità di madre e atleta. Allyson Felix realizzò così ciò che in troppi non riuscivano ancora a credere possibile per una donna: essere ancora la migliore nella propria professione senza rinunciare alla maternità.

È necessario quindi che questa nuova consapevolezza dimostrata da Nike rappresenti anche nel mondo del volley l’inizio di una serie di discussioni e iniziative che conducano finalmente alla comprensione della fondamentale distinzione tra uguaglianza e diversità. L’uguaglianza ricercata e legittimamente pretesa dalle atlete, e nella fattispecie dalle pallavoliste, riguarda l’attenzione, le risorse e il compenso finanziario che meritano a parità di lavoro e traguardi raggiunti. La diversità da rispettare e celebrare sta proprio in un’imprescindibile maggiore conoscenza della fisicità femminile, senza pregiudizi e oltre l’ignoranza basica di fondo. In definitiva, senza pretendere che l’allenamento previsto per un uomo valga anche per la donna, quando in tutti gli altri aspetti della loro vita atletica la disuguaglianza è perpetrata su scala quotidiana.

Perché se gli errori commessi e le mancanze reiterate nei confronti dello sport femminile non possono essere né cancellati né dimenticati, imparare da essi e migliorare è l’unica strada percorribile per costruire una realtà sportiva più inclusiva, attenta e istruita che aiuti a forgiare una società in grado di superare preconcetti e limitazioni che circondano la diversità.

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